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La siccità fa emergere i lavori degli argini del Margorabbia realizzati 100 anni fa in “modo rivoluzionario”

Si tratta degli interventi eseguiti durante il "biennio rosso" (1919-1920) da centinaia di lavoratori disoccupati del luinese, guidati dai socialisti di Germignaga. La storia

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Il periodo di grave siccità che stiamo vivendo ha portato alla luce un importante pezzo di storia luinese, rimasto “sommerso” per lungo tempo: si tratta dei lavori di sistemazione degli argini del fiume Margorabbia, realizzati “in modo rivoluzionario” da centinaia di lavoratori disoccupati del luinese durante il “biennio rosso” (1919-1920), guidati dai socialisti di Germignaga.

Terminata alla fine del 1918 la Grande Guerra, anche nel Luinese, forse più che altrove, si risentirono gli effetti di una importante crisi economica e sociale e il problema dell’occupazione presentò subito aspetti di estrema gravità. In questo contesto, l’opera di sistemazione del corso d’acqua del Margorabbia avrebbe potuto dare lavoro a centinaia e centinaia di persone, ma l’autorizzazione per iniziare questi interventi non arrivò mai. Così, all’alba del 17 aprile del 1919, più di 100 muratori “che mal si adattavano al sussidio statale”, formarono una cooperativa di lavoratori e decisero di iniziare gli interventi di bonifica, senza indugi, senza autorizzazioni e senza una scorta di progetto regolarmente approvato.

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(Nella foto i pali di legno, probabilmente di castagno, utilizzati per stabilire il terreno, poi ricoperti di sassi. E poi di cemento)

Una “realtà” locale, questa, che forse nessuno si sarebbe mai aspettato di vedere riemergere. A causa del basso livello dell’acqua, invece, oggi è possibile visionare il lavoro svolto e le tecniche di costruzione utilizzate a quel tempo lungo la pista ciclabile che costeggia il fiume, dopo Grantola, prima e dopo il laghetto, e in modo particolare prima dell’incrocio del semaforo, nei pressi della Ratti, sulla strada che dalla Provinciale si collega a Ferrera. Negli anni ’80 del secolo scorso, una parte degli argini della Margorabbia, fino al laghetto, è stata poi oggetto di una risistemazione. Tuttavia, una porzione degli argini costruita dai “rivoluzionari” è stata mantenuta, poichè ancora in buono stato.

LA STORIA

(Fonte: “Il Rondò – Almanacco di Luino e dintorni per il 1989” – capitolo “Margorabbia incanalata: un “esperimento bolscevico” – di Giovanni Petrotta)

Di mettere in assetto gli  argini del corso d’acqua del Margorabbia – che spesso in seguito a forti piogge straripava e inondava proprietà pubbliche e private – se ne parlava da decenni, anche perchè l’opera avrebbe procurato lavoro per mesi a centinaia di operai. Tuttavia, a causa della Grande Guerra e della successiva crisi economica e sociale, i possibili lavori erano stati posticipati.

Nel gennaio del 1919 il sindaco di Luino ing. Giuseppe Petrolo, indisse una riunione per trovare soluzioni urgenti alla mancanza di lavoro, ma i socialisti, che a quel tempo seguivano una linea settaria ed estremista, si rifiutarono di partecipare e il 9 marzo organizzarono da soli una manifestazione di protesta, alla quale parteciparono più di duemila persone. Fondamentale in quel momento fu l’appello fatto alle autorità da parte di Giovanni Battista Reggiori, farmacista di Germignaga – pubblicato da il “Corriere del Verbano”: “Luino, Germignaga, le nostre valli hanno la disoccupazione. Piccola, ma esiste. Aumenta colla smobilitazione. Bisogna provvedere. Ebbene, c’è un lavoro già pronto nei progetti, nei disegni, in tutto. E un lavoro utile sotto ogni aspetto. Si potrebbe incominciar domani. Occuperebbe centinaia e centinaia di persone. Parlo della sistemazione della Margorabbia(…)”.

Senza risposte, ma anche senza autorizzazioni e un progetto regolarmente approvato, all’alba del 17 aprile, quando ormai la situazione era diventata insostenibile, un gruppo di cento muratori iniziò i lavori di bonifica del fiume, a cui si aggiunsero altri disoccupati di tutti i comuni della Valtravaglia fino ad arrivare al numero di settecento unità. I lavori, che vedevano la partecipazione anche di giovani, mutilati e persino pensionati, si svolsero in un clima di ordine, disciplina e lavoro, così da impedire l’intervento delle autorità governative. Neanche il sindaco di Germignaga si oppose, anzi, solidarizzò con i lavoratori ed autorizzò l’ing. Campagnani ad aiutare i disoccupati.

I lavori proseguirono con slancio, ma chi avrebbe pagato i muratori? “I margorabbiani”, così venivan chiamati i lavoranti della Margorabbia, si rivolsero così alle autorità governative, alle banche, agli industriali per avere i necessari finanziamenti: nessuno si pronunciò e gli operai minacciarono di “andare per le spicce”. Fu allora che alcuni industriali, per evitar disordini, si unirono in un consorzio e decisero di anticipare 200.000 lire per i primi pagamenti, in attesa dell’intervento statale.

Per questa occasione, i lavoratori non si lasciarono scappare l’occasione di fare un gesto spettacolare: a ritirare la somma dalla Banca Popolare si presentarono con le carriole di lavoro, riversandovi sotto gli occhi di tutti i Luinesi le banconote degli stipendi che poi furono distribuite in cantiere.

Il primo luglio dello stesso anno il Ministero dei Lavori Pubblici, scartata l’ipotesi di intervenire con la forza e dopo aver contribuito con 700.000 lire, propose ai lavoratori il passaggio della conduzione al Genio Civile di Como. La cooperativa edile germignaghese accettò la proposta ma, dopo il cambiamento della guida, i  lavori proseguirono nel disordine e nella inettitudine. Gli operai, venuto meno il rigore rivoluzionario e senza una direttiva sicura, si recavano al lavoro demotivati fino ad arrivare a lasciarsi andare a violenze gratuite ed a sopraffazioni.

A questo punto, visto il precipitare della situazione, le autorità governative sospesero momentaneamente i lavori e, allo scopo di uscire nel migliore dei modi dal vicolo cieco, pensarono di affidarli a qualche ditta privata.

L’unica che si dimostrò disposta ad accettare fu la milanese federazione delle Cooperative di Produzione e Lavoro, legata al partito socialista. La cooperativa edile, però, vista l’impossibilità di ottenere l’appalto totale, decide di iniziare subito il completamento del primo tronco, comunicando alle maestranze che avrebbe assunto solo 400 dei mille e più operai.

I lavoratori, naturalmente, non approvando questa decisione organizzarono una serie di agitazioni in tutti i comuni interessati e il 7 aprile del 1920 più di mille lavoratori riaprirono il cantiere del fiume, senza autorizzazioni governative e contro il parere di una parte dei dirigenti camerali. Ma non si era più nel confuso primo dopoguerra. Il ministro dei Lavori Pubblici comunicò subito che in nessun caso si sarebbero retribuiti gli operai, e il suo collega degli Interni inviò sul posto un contingente militare armato. Gli operai, divisi e isolati, dopo alcuni giorni di autogestione, si convinsero a sospendere i lavori.

La situazione venne risolta il 21 aprile presso la Camera del Lavoro di Luino: dopo varie riunioni ed incontri, si scelse l’unica decisione possibile. Solo 500 operai avrebbero ripreso il lavoro. Le persone anziane, i pensionati e i giovinetti furono esclusi. La cooperativa milanese completò entro l’anno i lavori commissionati ed i muratori, rimasti nuovamente disoccupati, ritornarono senza protestare alla ricerca di lavori effimeri e precari.

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Pubblicato il 21 Marzo 2023
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