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Filippo Cevasco, il sogno del volo e le acque del Ticino

Un nuovo libro di Mario Varalli ricostruisce la storia dell' "aviatore proletario" che fu emigrante in Argentina, operaio e poi audace pilota collaudatore. Al tempo in cui ogni volo era un'impresa e a rischio

Sesto Calende varie

Erano gli anni dei veri pionieri. Capaci di salire su fragili apparecchi di tela, legno e tubi, dove ogni volo era una sfida.
Tra quei pionieri c’era Filippo Cevasco, nato da famiglia contadina dell’entroterra di Genova. “Aviatore proletario” che morì nelle acque tra Lago Maggiore e Ticino, a Sesto Calende, 105 anni fa.

Cevasco nacque a Rosso, un pugno di case in pietra sull’Appennino: giovanissimo, era emigrato in Sudamerica, dove svolse numerosi lavori, fece l’operaio, il commesso, persino il picador nella corrida. Proprio durante la convalescenza per una ferita rimediata nell’area da tori scoprì l’affascinante mondo dell’aviazione.  Scelse di rientrare in Europa e fece una prima esperienza come operaio alla Morane-Saulnier, una delle prime fabbriche di aerei in Francia.

Rientrato in Italia, ottenne il brevetto a Torino e fu assunto dalla Gabardini, la fabbrica pioneristica avviata da Giuseppe Gabardini prima a Taliedo (la zona di Milano che divenne poi vero distretto aeronautico, con la Caproni)  e poi a Cameri, nel Novarese. Oltre a lavorare collaudatore e capopilota istruttore, compì raid audacissimi e conquistò diversi record mondiali: nell’arco del 1913 a Genova – con cui mantenne un rapporto molto forte – divenne una celebrità, le sue imprese su quei fragili monoplani attraevano grandi folle (una volta cedette persino il parapetto di una balconata, per la pressione della folla).

A Genova, a dicembre 1914, arrivò per la prima volta a bordo di un idrovolante, atterrando alla Foce: erano gli anni in cui si discuteva se il futuro fosse dell’aereo “terrestre” (che richiedeva aeroporti dedicati) o dell’idrovolante, che poteva operare da specchi d’acqua di ogni genere.

Dopo il favoloso 1913, nella primavera del ’14 partecipò al raid  Milano-Torino-Genova-Milano, tra nebbie, tempeste, cime sfiorate in Appennino, atterraggi movimentati.  Il destino era in agguato: il 2 giugno 1914 parte dall’hangar di Cicognola di Castelletto Ticino per un volo di allenamento sul suo idrovolante Gabardini (un esemplare simile è conservato a Volandia, il museo del volo di fianco a Malpensa).
Compiuto il volo, mentre sta planando nella zona dove le acque del Ticino si confondono con quelle del Lago il motore da 80 cavalli si riaccende all’improvviso, l’aereo si sbilancia e si inabissa nelle acque azzurre.

Cevasco perse così la vita a soli ventiquattro anni. Il corpo fu recuperato con fatica, con l’intervento anche dei palombari arrivati da Genova. E proprio nella città della Lanterna venne sepolto, al cimitero di Staglieno, per poi essere trasferiti nel piccolo paese d’origine. Genova gli dedicò una via (al pari di Sesto Calende).

La vicenda di Cevasco è al centro di un nuovo volume (“Filippo Cevasco un aviatore proletario”) che è stato scritto da Mario Varalli e pubblicato dalla casa editrice Gli Archivi Ritrovati. , con nuovi documenti inediti, «ad esempio le cartoline spedite alla famiglia dalla Francia e da Torino, quest’ultima per annunciare il suo arrivo a Genova», spiega Varalli.
Il 9 dicembre 2019 il volume sarà presentato proprio a Genova, a Palazzo Ducale, con la partecipazione di Paolo Miana, curatore scientifico dell’Archivio Storico Federighi di Pisa, che racconterà “come era fatto e come volava un Gabardini”, uno di quei fragili aerei pioneristici. Sarà inoltre il pilota Palmiro Dellacasa, pronipote di Cevasco, illustrerà l’Aviazione pionieristica. A conclusione dell’evento ci sarà la proiezione di un documentario sulla vita di Cevasco, realizzato dal regista Marino Carmelo.
Inoltre nel foyer saranno eccezionalmente esposti il motore Gnome, l’elica e il timone di coda dell’ultimo Gabardini terrestre rimasto, risalente al tempo di Cevasco e conservato dall’Archivio Federighi.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 29 Novembre 2019
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