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Appello a Giorgia Meloni: “Noi famiglie frontaliere danneggiate per lo stop all’accordo sullo smart working”

Una lettera scritta da una mamma frontaliera al Premier Giorgia Meloni per chiedere di rivedere le scelte sullo smart working che penalizzano, a suo dire, la vita delle famiglie che si trovano ad affrontare diverse difficoltà

Il viaggio dei frontalieri passando dalla statale 394

Una lettera scritta da una mamma frontaliera al Premier Giorgia Meloni per chiedere di rivedere le scelte sullo smart working che penalizzano, a suo dire, la vita delle famiglie che si trovano ad affrontare diverse difficoltà

Gentile Primo Ministro,

Mi chiamo Giulia e abito nella provincia di Varese insieme a mio marito e mio figlio di 9 anni. Non sono di qua, neanche mio marito, ma ci siamo trasferiti per lavoro, con i parenti più vicini a 600 km di distanza.

Abito nel Varesotto da circa 20 anni. Qua il lavoro è un valore assoluto. Un Varesotto, un Comasco non chiede il reddito di cittadinanza, assegni, aiuti di stato. Se il lavoro non si trova nella zona, lo cerca oltre il confine.

La mia avventura da frontaliera comincia nel 2019, dopo 2 lunghe esperienze lavorative in Italia. La paga è ottima, l’ambiente stimolante e le possibilità di carriera che non mi capiteranno probabilmente mai più. D’altra parte la strada da percorrere ogni giorno è lunga, i giorni di ferie pochi e l’agenda lavorativa fitta di scadenze. Nel 2019 riesco a fare solo una settimana di ferie a novembre (le altre giornate libere se ne vanno in visite mediche con mio figlio e in permessi presi a ore per portarlo ai tornei di calcio e compleanni). Comincio a pensare di mollare, ma nel frattempo arriva la pandemia che stravolge la vita di tutti noi. Arriva anche lo smart working.

Quando tutti in ufficio ci siamo vaccinati contro il covid con 2 dosi, il direttore generale ci invita a tornare in ufficio 3 giorni alla settimana lasciano comunque la flessibilità. C’era chi se gli faceva 3 di fila, chi arrivava prestissimo e ripartiva nel primo pomeriggio per poter prendere i figli a scuola e poi finire il lavoro a casa. Chi stava a casa 1 settimana con figlio malato e una volta guarito, completava il mese in ufficio.

Ma poi, da febbraio 2023, a metà anno scolastico, il governo italiano non rinnova l’accordo su smart working e i frontalieri vengono costretti a tornare in ufficio tutti i giorni.

Lei, primo ministro Meloni ha mai pensato alle conseguenze? Le faccio qualche esempio:

I quartieri del Varesotto sono di nuovo deserti. Persiane chiuse in tutto l’isolato dove abito, non si sentono più i bambini. Sono tutti al prescuola, doposcuola e poi con le tate. Sono ricominciati anche i furti. Lei lo sa cosa vuol dire “lavorare oltre il confine”? C’è chi si avventura fino a Bellinzona, facendo 200 km al giorno. Un esercito di programmatori, analisti, contabili, progettisti che potrebbero svolgere il loro lavoro nel modo assolutamente uguale da casa, senza intasare tutte le arterie della provincia.

I papà frontalieri che per la prima volta hanno avuto la possibilità di partecipare alla quotidianità della famiglia sono di nuovo via tutto il giorno. Non andranno più a prendere il figlio a scuola, non preparenno più il pranzo, non aiuteranno più con i compiti.

E le donne? Lei che è tanto fiera di essere “mujer italiana” e ci tiene a salvaguardare i diritti delle donne? Secondo Lei chi paga il prezzo più caro? Le faccio qualche esempio:

Laura, 40 anni, fino a poco fa frontaliera come anche suo marito. Ha avuto 2 bambini durante la pandemia (paradossale no? Più facile fare figli durante la pandemia che quando bisogna andare in ufficio). A febbraio ha messo nel cassetto la sua laurea in ingegneria e il sogno di un lavoro interessante, adesso fa la cassiera part time a Lugano. Suo marito guadagna di più quindi la decisione su chi deve lasciare, era scontata. Non potevano stare 12 ore al giorno fuori tutti e due.
Chiara, 32 anni, mamma single. Aveva trovato lavoro oltre confine durante la pandemia, con parziale smart working. Licenziata a febbraio, non era in grado di assicurare la presenza in ufficio per 8h tutti i giorni visto che faceva 3-4 ore di strada. Attualmente ha cominciato un lavoretto al nero per poter mantenere la famiglia, sperano di trovare qualcosa a breve.
Io – 45 anni. Per ora resisto grazie a mio marito e alla sua azienda in Italia che permette lo smart working illimitato. Grazie a lui mio figlio continua a frequentare gli allenamenti, le lezioni di musica e il catechismo. Io rientro quando loro hanno già cenato.

La domanda che si legge sulla faccia di tutte le mie colleghe quando, dopo aver lasciato i figli al prescuola e aver affrontato le code infinite, approdiamo in ufficio è PERCHE’? Perché distruggere qualcosa che funzionava bene?

Per le tasse? Se è così, sappia che tutte le aziende svizzere che conosco hanno tassativamente vietato lo smart working ai frontalieri perché non vogliono avere niente a che fare con il fisco italiano. Quindi all’agenzia delle entrate non arriverà una lira. E noi ci sentiamo discriminati perché ovviamente i colleghi svizzeri continuano a lavorare 2 giorni alla settimana da casa.

Allora per dispetto? Della serie “fate anche voi la vita difficile come gli altri”? Invece di “best practice” come accordo Francia – Svizzera, applichiamo le condizioni dure e vediamo come se la cavano? Speriamo che non sia così…

Magari per svista? Perché chi ha preso la decisione non si rendeva conto delle conseguenze? In questo caso spero che si possa rimediare presto!

Cordiali saluti.

Giulia

Pubblicato il 15 Aprile 2023
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