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Vincenzo, l’ambulante di Biumo deportato nei lager per una foto di Matteotti

Nell'estate del 1943 Mussolini era agli arresti per ordine del re, ma questo non impediva la caccia ai "sovversivi": ne fece le spese uno straccivendolo dalla memoria lunga. Una ricerca di Claudio Mezzanzanica

delitto matteotti

Pubblichiamo qui il nuovo contributo di Claudio Mezzanzanica, frutto di ricerche d’archivio. Segue le precedenti puntate sui brogli fascisti in provincia e sulla reazione dopo il delitto Matteotti

 Nell’agosto del 1943 incubi e fantasmi ossessionano Vittorio Emanuele III. C’è quello di Mussolini, per il quale ha disposto l’arresto il 25 luglio dopo avergli fatto da spalla per oltre vent’anni. C’è quello dei tedeschi, gli ex alleati che si stanno impadronendo dell’Italia. In un mese hanno fatto entrare dal Brennero centinaia di migliaia di soldati e carri armati. C’è quello degli americani, i nuovi alleati che nelle trattative segrete per un armistizio separato non concedono nulla. Vogliono la resa incondizionata e solo quella. Ci sono voci, anche all’interno del suo entourage, che chiedono la sua abdicazione in favore del figlio Umberto o, peggio ancora, del cugino Amedeo d’Aosta. Ci sono i partiti che si stanno riorganizzando, mentre dal paese sale una richiesta di pace e libertà.

C’è poi un fantasma che viene da più lontano. È quello del deputato socialista Giacomo Matteotti assassinato su ordine di Mussolini vent’anni prima. Il re aveva fatto finta d niente e non a caso. Matteotti era un pericolo anche per la monarchia. In un viaggio a Londra, poco prima di essere assassinato, aveva raccolto dei documenti che provavano un caso di corruzione da parte della ditta petrolifera americana Sinclair nei confronti delle autorità governative italiane per ottenere delle concessioni petrolifere. Le voci che correvano allora parlavano di soldi destinati non solo a Mussolini, attraverso suo fratello Arnaldo, ma anche alla Casa Reale.

Nei giorni successivi alla caduta del fascismo per il re era indispensabile continuare a mettere a tacere i giornali, i partiti, il popolo italiano. Così il governo Badoglio, da lui nominato, continua nell’azione di repressione delle voci contrarie. Uomini politici vengono arrestati, le manifestazioni vengono proibite, il materiale “sovversivo” sequestrato.

Vincenzo Barbisan abitava a Varese in via Walder 53 e faceva l’ambulante. La mattina del 29 agosto del 1943 viene arrestato a Germignaga dai carabinieri di Luino.
Stava distribuendo alcune cartoline che raffiguravano l’istante del rapimento e dell’omicidio di Matteotti. Sul carretto dove esponeva la sua merce ne furono ritrovate e sequestrate ventinove.

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Le immagini sono quelle dei volantini originali, conservati nel fascicolo di Barbisan presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma

Barbisan viene inviato alle carceri di Varese con l’accusa di aver distribuito “materiale sovversivo” e di avere un complice, Stefano Triacca, già precedentemente condannato al confino. Il Triacca però riesce a scappare e i carabinieri spediscono fonogrammi in tutta Italia per rintracciarlo. Il 7 settembre dalla Questura di Varese parte l’ordine di rintracciarlo su tutto il territorio nazionale come sovversivo pericoloso.

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Barbisan resterà in carcere fino al 23 settembre, ma il suo nome è entrato nello schedario della polizia come quello di un pericoloso agitatore. A metà novembre, mentre si trova a Porto Valtravaglia con il suo carretto, è nuovamente arrestato, stavolta dalla polizia repubblichina. Deferito al tribunale di guerra viene segnalato al Comando Militare Germanico. I tedeschi non perdono tempo; se lo fanno consegnare il 7 dicembre e il 21 febbraio del 1944 lo inviano a Mauthausen. Nella sua scheda troviamo scritto: “[…] comunista, deportato per motivi di sicurezza”.

Vincenzo Barbisan morirà a Mauthausen nel marzo del 1945, a soli 43 anni.

I fantasmi del re d’Italia hanno ucciso un povero ambulante. Ad assassinarlo hanno concorso i solerti funzionari di uno stato che ha come ultima preoccupazione la tutela dei suoi cittadini e i cattivi dell’epoca, i tedeschi, con la loro cieca determinazione. Vincenzo Barbisan muore anche per colpa sua. È un ambulante, un marginale secondo i carabinieri, ma è uno che sa come sono andate le cose. Sa che Matteotti è stato assassinato e lo sanno anche le persone che gli chiedono le cartoline.

Nel verbale di interrogatorio, per discolparsi, afferma che quelle fotografie gli vengono richieste e lui si limita a distribuirle a chi ne fa domanda. Quindi non solo lui sa, ma altri sanno, e vogliono manifestare questo loro sapere, condividerlo acquisendo la cartolina. Nulla è più sovversivo della condivisione della verità. Vincenzo Barbisan nel suo essere un uomo che condivide un sentimento e un’idea con altri è un colpevole. Un sovversivo. Un uomo che deve essere deportato per motivi di sicurezza. Lui, uno “straccivendolo… senza fissa dimora”, come si legge in alcune note dei carabinieri, è un pericolo per il fascismo di Salò e per il suo alleato germanico.

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Pubblicato il 22 Maggio 2024
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