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Ricominciare dal vento: la libertà secondo Paolo Paliaga

Anche in una notte gelida d’inverno, sotto i capelli color cenere e dietro gli occhiali, lo sguardo di Paolo Paliaga va oltre le quattro pareti della sua casa di Cittiglio. C’è un futuro che, in qualche modo, bisogna rendere migliore. L'intervista di Lorenzo Franzetti

paolo paliaga foto di lorenzo franzetti

“Wind is coming”, il vento arriva sempre, prima o poi. Prendere il largo, duettare con la natura è un gesto naturale per un musicista navigante su acque che, spesso, sono fatte di suoni, emozioni, idee, storie e incontri fantastici. Paolo Paliaga oggi, Paolo Paliaga cinquant’anni fa, lo stesso ragazzino che sceglie la libertà a modo suo, navigando tra i tasti di un pianoforte o issando una vela verso una nuova idea. «Sì, ero un ragazzino quando prendendo lezioni di piano, mi toccavano esercizi pallosissimi. Il mio insegnante, però, si assopiva spesso e così io ne approfittavo per continuare a suonare, ma improvvisando a modo mio. Ho iniziato da autodidatta, dunque. Ma poi ho avuto maestri importanti come, per esempio, Nando De Luca e Arrigo Cappelletti».

È stato così che Paolo ha scoperto il jazz e un modo di pensare, oltre gli schemi e le briglie di un mondo che, anche nel piccolo, è sempre possibile migliorare. Anzi, è un dovere. Vive a Cittiglio, salendo verso Vararo, ma quattro pareti dicono poco di una persona in continuo viaggio, soprattutto con pensieri e progetti. Fermento continuo e un percorso che ogni giorno aggiunge un pezzetto di strada o un colore nuovo: «In questi giorni sto lavorando a un romanzo. Ho scoperto la scrittura e mi diverte tantissimo. Mi prende totalmente, a tutte le ore».

Licenziato a 60 anni, ma è rinato: «Regalo felicità ai turisti»

Ha 62 anni, Paolo Paliaga, ma non li dimostra né dentro, né fuori, nonostante i capelli imbiancati: mani sempre in movimento, a inseguire idee su tastiere e non solo. La musica è la costante della sua vita, ma la scuola e gli studi di economia sono stati la quotidianità e lo stipendio per molto tempo. Ora, però, c’è una ferita da far guarire, una ferita dell’anima che ancora mostra il segno: «Licenziato a sessant’anni, sì è stato un colpo. Sono stato cacciato dal mondo della scuola, una scuola europea. E ho pagato per essermi battuto contro un sistema malato, contro le ingiustizie. E con me, ha pagato anche mia moglie, anche lei cacciata da una scuola europea che, qui in provincia di Varese, viene vista come un mito, ma purtroppo non è così».

Reinventarsi le giornate è sempre una sfida piena di incognite. Paolo Paliaga è ripartito duettando col vento, a bordo di una barca a vela, uscendo dal porto di Laveno per abbracciare bellezza: «Reagire. Bisogna farlo. E si può ricominciare dalle emozioni che regalano questi luoghi che ci circondano. Viviamo in un posto meraviglioso. Noi della sponda magra ci abbiamo sempre creduto poco, ma il nostro territorio è una grande risorsa per gli altri, per chi viene da fuori. Sono ripartito da questo. E poi noi, rispetto a quelli della sponda piemontese, abbiamo i tramonti…».

Poesia che si ripete ogni sera. Su quella barca, oggi, un musicista e sociologo si è inventato un lavoro che investe sulle emozioni: «Experience Lago Maggiore, un progetto che non è solo mio, ma che sto portando avanti con mia moglie Catalina, punta sul turismo esperienziale. Facciamo stare meglio le persone, le rendiamo felici: a chi viene in vacanza sul lago, proviamo sì a offrire non solo tour guidati, itinerari, crociere, cibo, ma anche emozioni, anche con la musica, certo, ma sempre mettendo le persone e le esperienze al centro».

paolo paliaga foto di lorenzo franzetti

Da Varese a Parigi, per crescere e pensare a come migliorare il mondo

Madre torinese, padre profugo dalmata, Paolo Paliaga pur provenendo da una famiglia benestante, si è sempre confrontato con un mondo in cerca di giustizia soprattutto sociale. «Ho avuto la possibilità di uscire dalla provincia e completare il mio percorso formativo a Parigi, prima alla Sorbonne e poi all’Ecole des Hautes etudes. Sono un sociologo, un esperto di economia, adoro l’economia politica. Ho una formazione keynesiana, socialdemocratica e oggi più che mai, il liberismo ha bisogno di limiti. Gli anni parigini sono stati molto importanti anche per la musica, perché lì ho inciso il mio primo disco con un gruppo multietnico». Parigi resta indelebile nel suo raccontare, ma poi sono arrivati il jazz nelle forme più alte ed eleganti, con fior di musicisti: «Tornato in Italia, poco più che trentenne, mi sono trasferito vicino a Torino, nel Canavese. E in quegli anni ho lavorato al mio progetto jazz, Giro-vago, con Ares Tavolazzi. E il mio ritorno a Varese mi ha portato a suonare diverse volte allo Splash di Renato Bertossi, per poi intraprendere un bel percorso con tante collaborazioni importanti». Tra i tanti musicisti che hanno condiviso con lui almeno parte del suo percorso di crescita, c’è il meglio del panorama italiano: Stefano Dell’Ora, Dino Contenti, Gigi Biolcati, Ferdinando Faraò, Carlos Buschini, Massimo Vescovi, Alberto Bossari e molti altri. E, sempre a Varese, entra nel mondo della scuola: «Ho iniziato il mio lungo periodo alla Scuola Europea insegnando economia, ma anche un po’ di musica. Un’opportunità davvero stimolante, che purtroppo si è rivelato con gli anni un’esperienza amara perché ho toccato con mano lo sfruttamento e l’ipocrisia di un’istituzione che mi ha deluso».

Convertire la rabbia in positività: anche scrivere aiuta

La rabbia viene a galla spesso, le note del suo pianoforte, le onde cavalcate dalla sua barca non bastano a mandarla a fondo: «La rabbia è soprattutto per il fallimento del progetto scolastico. Cosa fa la scuola oggi? Si preoccupa soprattutto di formare gente che si integri in un sistema, non lavora per crescere persone pensanti». Le sue battaglie sindacali andavano fatte e andrebbero rifatte sempre: «Me la sto comunque cavando con un’altra strada. Tuttavia, non posso far finta di niente, per chi è ancora lì. Sono sempre attento ai bisogni di chi sta peggio. E, in questo caso specifico, nel cuore dell’Europa, c’è una scuola in cui lavorano 1.250 persone precarie, sfruttate». Una lettera di licenziamento non fermano le idee e nemmeno i valori, che corrono nel vento, gonfiano le vele di una barca, muovono i tasti di un pianoforte, ispirano storie da scrivere. E si rivolgono a chi ha ancora voglia di pensare: «A modo mio esprimo sempre quel che penso, la mia critica alla modernità, la necessità di una decrescita felice».

La musica che entra in un quadro…

Il lungo percorso musicale, spesso accompagnato da jazzisti di fama internazionale, non ha mai trascurato questa sua visione, fin dai progetti Alboran trio, Horizon Quartiet, Paolo Paliaga quartet. E oggi con altri due musicisti, Luca Pedroni e Patrizio Balzarini, e un regista spagnolo, Jesus de la Iglesia, va oltre, entrando con la musica in un’opera pittorica: « Con Antropocene, l’idea è quella di accompagnare il pubblico dentro a un quadro incredibile, il Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch, dando una visiona laica. Ne viene fuori uno spettacolo che è anche una riflessione sui cambiamenti climatici e sociali. Si vuole offrire un’esperienza fatta di emozioni». L’arte totale, in tutte le sue forme, è vera libertà, così come l’idea di portare la musica nelle gallerie: «C’è questo progetto sì di affiancare la musica alla pittura, per andare oltre, per portare le persone ancora più dentro ai grandi dipinti. Per far vivere emozioni uniche». Sì, le idee non si possono fermare, prendono vita e possono diventare persino parole da fermare su un foglio, la sfida di un romanzo da scrivere lo ha ormai conquistato: «Anche questo è una medicina per l’anima, mi fa star bene, mi diverto. La potenza delle parole è meravigliosa. Sarà un libro sulla mia esperienza nel mondo della scuola e voglio convertire la rabbia in qualcosa di piacevole e divertente da leggere, ma che ovviamente faccia pensare le persone. Non vedo l’ora di pubblicarlo». E così anche in una notte gelida d’inverno, sotto i capelli color cenere e dietro gli occhiali, lo sguardo di Paolo Paliaga va oltre le quattro pareti della sua casa di Cittiglio. C’è un futuro che, in qualche modo, bisogna rendere migliore. Per noi stessi e per gli altri. L’importante è confidare nel vento e prepararsi a prendere il largo, con i tasti di un pianoforte o con una barca a vela «Io faccio sempre il mio lavoro, in altra forma». E, comunque vada, a fine giornata, «la natura ci regala un tramonto». Privilegio della sponda magra.

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Pubblicato il 17 Gennaio 2024
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