Il caso Dahmer: il macabro che attira
La serie tv firmata Netflix, riporta alla luce i terribili fatti del Mostro di Milwaukee
196,2 milioni di ore di visione solo nella prima settimana, 299,84 milioni durante la seconda: una serie record, che ha surclassato anche il successo dell’amatissimo Bridgerton.
In pochissimo tempo dalla sua apparizione tra i titoli Netflix, la storia del pluriomicida Jeffrey Dahmer, “Dahmer – Mostro: La Storia di Jeffrey Dahmer”, ideata da Ryan Murphy e che vede Evan Peters – conosciuto dai fan Marvel per l’ultima trilogia degli X-Men nel ruolo di Quicksilver – vestire i panni del protagonista, si classifica da subito tra le serie Tv record di ascolti.
Una storia, quella di Dahmer, che sguazza nel macabro dall’inizio alla fine, attraversando le fasi della sua contorta gioventù, in una situazione familiare difficile, costellata da abbandoni e indifferenza. Questa della famiglia difficile non deve però suonare come una giustificazione a ciò che ha portato al massacro di tutte le vittime coinvolte nella storia.
La bravura di Peters nell’interpretare il serial killer rischia di portare lo spettatore quasi ad empatizzare con l’assassino, mettendo in secondo piano la brutalità dell’uomo e le atrocità commesse. Questo è un pericolo in cui i film e le serie tv narratrici di fatti realmente accaduti, soprattutto se terribili come la storia di Jeffrey Dahmer, possono incappare facilmente. Il racconto di un’infanzia difficile, sommata al “passo dopo passo” che crea il climax della storia, da un lato quasi “giustifica” gli abominevoli atti compiuti e dall’altro aiuta chi guarda a sopportare meglio la tragedia raccontata, pagando il prezzo però di camminare sempre sul filo del rasoio. Prendersi la responsabilità di raccontare la storia di Dahmer significa fare i conti con una verità che talvolta può risultare scomoda: il macabro piace, attira, perché le storie di violenza, per quanto sconvolgenti, soprattutto se vere, attraggono gli spettatori come una calamita, che possono rimanere sconvolti e nauseati, da un racconto come questo, “disumano”, ma può anche capitare che al contrario, ne rimangano affascinati. In entrambi i casi, sono pochi quelli che decidono di non arrivare fino in fondo al racconto.
CHI FU JEFFREY DAHMER
Conosciuto come “Il cannibale di Milwaukee” o più semplicemente come “Il mostro”, Jeffrey Dahmer nasce nel 1960 nel Winsconsin, stato del Nord America. Dal difficile rapporto con i genitori, il padre assente e la madre affetta da una pesante forma di depressione, Dahmer cresce abbandonato a sé stesso, rifugiandosi fin dalla prima adolescenza nell’abuso di alcol e sviluppando una forte attrazione, fin da bambino, per la dissezione e lo smembramento, in quella che suo padre credeva passione per la scienza, avvicinandolo egli stesso da bambino a questa pratica rivolta agli animali morti.
La sua prima vittima fu Steve Hicks, un autostoppista di 19 anni. Jeffrey Dahmer fu responsabile di diciassette omicidi, tra il 1978 e il 1991: atti di violenza sessuale, necrofilia, cannibalismo, squartamento. Fu processato nel 1992, rispondendo a 15 capi di imputazione, e condannato all’ergastolo (957 anni di prigione), per poi essere aggredito e ucciso, due anni dopo, da un altro detenuto sofferente di schizofrenia.
LA SERIE TV FIRMATA NETFLIX
Intrecciata alla trama di questi fatti realmente accaduti, Netflix inserisce anche una denuncia sociale all’omofobia e al razzismo, affrontando in parallelo due strade ben distinte: da un lato, attribuire parte della colpa all‘indifferenza e talvolta al disgusto delle autorità nei confronti delle persone omosessuali, che li ha portati a non imporsi fin da subito per indagare più a fondo tutti i segnali evidenti che forse avrebbero fermato Jeffrey Dahmer molto prima del 1991; dall’altro lato, far sottolineare – quasi sfruttare – al protagonista in maniera così evidente la propria omosessualità, usandola come scudo, sottolineando il razzismo delle Forze dell’Ordine, che si rifiutano di approfondire controlli e indagini anche in situazioni dove non poteva essere più palese che qualcosa non andasse.
LE CRITICHE
Il grande successo porta con se anche numerose critiche: la produzione della serie tv, infatti, è stata da molti accusata di insensibilità nei confronti delle vittime e delle loro famiglie. Addirittura, Errol Lindsay, sorella di una vittima di Dahmer, ha raccontato di non essere mai stata contattata da Netflix e di essere rimasta sconvolta, una volta vista se stessa interpretata nella serie pur non avendo dato nessun consenso. Oltre all’approccio – o il non-approccio, in questo caso – avuto con chi la storia l’ha vissuta davvero, una grande critica è stata fatta nei confronti di Netflix, che si starebbe arricchendo alle spalle delle famiglie delle vittime sul racconto di una tragedia.
Anche la comunità LGTB ha criticato la scelta di Netflix di inserire come tag di ricerca dello show la loro sigla.
A poche settimane da Halloween, molti attraverso i canali social, hanno lanciato l’appello di non usare il personaggio di Jeffrey Dahmer e il successo della serie TV travestendosi come il mostro di Milwaukee durante la notte di Ogni Santi, poiché la tragedia tornata virale grazie a Netflix, non si trasformi in un semplice film dell’orrore e una maschera qualunque per dolcetto o scherzetto.
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