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Grassi (industriali): “È l’ora di un vero piano strategico per il territorio”

Lunedì 3 ottobre si terrà a Malpensafiere l'assemblea dell’Unione degli industriali in cui sarà presentato #Varese 2050: "Un lavoro fatto di ascolto, condivisione e inclusione che guarda al futuro del nostro sistema"

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Mancano pochi giorni all’assemblea generale dell’Unione degli industriali della provincia di Varese che quest’anno tornerà a Malpensafiere. Un appuntamento molto atteso che cade in un momento particolare per le imprese strette come sono nella morsa della crisi energetica e delle materie prime, da una parte, e con l’incognita politica rappresentata dal nascente Governo che verrà messo subito alla prova dalla nuova legge di Bilancio.

Presidente Grassi, con che animo affronta questa assemblea?
«Con un animo molto combattuto. C’è la gestione dei problemi correnti con un’emergenza mai avuta prima, almeno nella storia recente. Abbiamo affrontato una pandemia, la guerra delle materie prime, i noli marittimi che non c’erano, la scarsità dei microprocessori fino ad arrivare alla crisi energetica, iniziata ben prima del conflitto tra Ucraina e Russia. E, dulcis in fundo, la guerra nel cuore dell’Europa. Quanto basta per mettere alla prova l’intero sistema manifatturiero italiano, non solo quello varesino».

Però la manifattura italiana e varesina sembrano aver retto bene l’urto delle emergenze. Come si spiega la capacità che hanno le imprese italiane di resistere all’imponderabile?
«È vero, abbiamo tenuto. Nel periodo della pandemia la nostra manifattura è riuscita a tenere aperte delle filiere produttive che immediatamente dopo, quando il virus era meno aggressivo, hanno dimostrato di avere grande resilienza e capacità di recupero rispetto al resto dell’Europa. Il sistema manifatturiero italiano è più rapido e veloce, insomma molto più reattivo rispetto ad altri. Inoltre, ha conquistato quote di mercato grazie al reshoring che era già iniziato in seguito ai problemi con la Cina. Pertanto una serie di multinazionali avevano deciso di spostare i propri asset produttivi dai paesi del far east ai paesi euromeditterranei. I dati, già lo scorso anno, dimostravano che le nostre aziende avevano i fondamentali a posto ed erano riuscite a riprendersi le posizioni che avevano perso in pandemia».

Ora però c’è la crisi energetica che in alcuni casi mette a rischio la stessa sopravvivenza delle imprese
«Il problema dell’energia coinvolge tutto il comparto, in primis le aziende energivore che si sono viste decuplicare i costi. Una situazione che le mette fuori mercato e davanti alla prospettiva di chiudere, perché l’incidenza dei costi dell’energia sui costi del prodotto è troppo elevata. Il paradosso è che molte imprese in questa fase hanno il portafoglio ordini pieno che però non sono in grado di soddisfare a causa del caro energia. Per affrontare il problema abbiamo chiesto in tutti i modi possibili interventi urgenti e mirati che andassero a mettere al riparo le nostra imprese. Per un Paese che non ha materie prime e gestisce la propria manifattura sulla trasformazione, l’impresa rappresenta un interesse strategico e come tale deve essere considerato nei tavoli di governo, cosa che peraltro altre nazioni hanno fatto. Pensiamo alla Francia, alla Germania e soprattutto alla Spagna che è intervenuta strutturalmente con un costo che è anche più basso rispetto agli altri. Noi invece non abbiamo nessun tipo di supporto, gli interventi fatti sono una goccia nel mare. Beninteso: meglio averli che non averli, ma non risolvono il problema. Oggi ci sono imprese che hanno avuto il distacco della fornitura, il che significa chiudere l’attività. E se un’azienda deve andare a stipulare un nuovo contratto di fornitura deve mettere una fideiussione di due mesi in anticipo su quelli che sono i canoni che andrà a utilizzare. Una fideiussione fatta a chi? All’Eni? Che è partecipata dalla Cassa depositi e prestiti. Qualsiasi tipo di provvedimento preso fino a oggi a livello governativo è sicuramente inferiore rispetto agli extraprofitti che lo stesso Stato ha avuto. Basti pensare all’incasso maggiore dell’Iva calcolato su un imponibile cinque volte superiore rispetto all’imponibile prima del 2019. Quindi i soldi dati sono stati finanziati dallo stesso utente. E questo discorso vale anche per le famiglie.

Nell’ultima assemblea di Univa era stato annunciato un piano strategico per il futuro che verrà presentato lunedì 3 ottobre. Ci può anticipare qualcosa sul metodo usato?
«Abbiamo realizzato una fotografia del territorio, partendo dall’ascolto di tutti i portatori di interesse, una cosa che non era mai stata fatta. Un lavoro intenso con tanti workshop e incontri con tutti gli stakeholder: dai sindaci al sistema bancario, dai sindacati alle imprese, passando per tutti i nostri past president che sono venuti sui banchi di scuola per fare un lavoro di analisi e disegnare il futuro della associazione, delle imprese e del nostro territorio. C’è stata una sessione fatta con i giovani, la cui visione di futuro è fondamentale in questo percorso, perché loro saranno i protagonisti attivi del tempo che verrà. Insomma, un lavoro condiviso e inclusivo, condotto con il supporto del think tank Strategique coordinato a livello italiano dal professor Fernando Alberti della Liuc che fa parte del team di Michael Porter della Harward University. È stato fatto un grande sforzo non solo da parte del consiglio di presidenza, che ha partecipato a tutti i workshop, ma anche del direttore Silvia Pagani e di tutta la struttura di Univa che, oltre a pensare e dare risposte alle imprese sui problemi correnti, ha fatto il lavoro di coordinamento».

Questo lavoro avrà una ricaduta anche sulla vostra identità di associazione?
«Fino ad oggi abbiamo dimostrato di aver dato il giusto supporto ai nostri associati, soprattutto nei momenti di emergenza, come la pandemia. In uno dei periodi più drammatici degli ultimi vent’anni, la struttura di Univa era vicina alle aziende sette giorni su sette, 24 ore su 24. Però bisogna pensare anche agli scenari futuri e questa è la ragione per cui abbiamo messo il traguardo al 2050. Siamo partiti da una riflessione sulle imprese e sul loro futuro, che non saremo solo noi a disegnare. Bisognava allargare lo sguardo, solo così si poteva includere una platea di soggetti che fosse la più ampia e rappresentativa del territorio. È stata una grande sfida caratterizzata da una bella partecipazione. Non si deve perdere mai di vista il futuro, la vision e gli investimenti che dobbiamo fare come associazione, territorio e aziende. Capire quali sono gli interventi di strategia necessari è fondamentale per continuare a picchiare il ferro anche nei prossimi anni».

Pubblicato il 29 Settembre 2022
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