I tre problemi del Green pass: eccessiva tutela della privacy, i certificati di malattia e i trasportatori dell’Est Europa
Il presidente dell'Unione industriali, Roberto Grassi, affronta le problematiche legate all'obbligo del Green pass nei luoghi di lavoro. "Ci saranno complicazioni organizzative, ma il blocco delle produzioni è un rischio estremo"
Il Green pass obbligatorio in azienda è orma al via. Una misura fortemente voluta da Confindustria, ma con una strutturazione normativa la cui applicazione desta qualche preoccupazione. Secondo l’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, il tema si divide in due questioni: quella di principio, legata al ruolo che l’impresa deve e vuole avere nella società, e quella pratica, legata alla difficile applicazione della normativa del Green pass in alcune realtà aziendali.
Le risposte di Roberto Grassi presidente di Univa.
GREEN PASS E RESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA
«Per quanto riguarda la questione di principio non possiamo parlare di responsabilità sociale d’impresa senza affermare, in un momento così delicato come l’attuale di uscita dalla pandemia, il ruolo delle nostre aziende come baluardo a difesa della sicurezza e della salute dei lavoratori. L’impresa ha un valore sociale, non solo economico. Questo è il momento di affermarlo facendo la nostra parte con coraggio, anche se crea dei disagi e sforzi organizzativi ulteriori. Il ritorno alla normalità e l’incremento della percentuale dei vaccinati dipendono anche da noi.
La questione pratica: sì, è vero, la normativa così come è stata concepita crea complicazioni e difficoltà applicative. La preoccupazione tra le imprese c’è. Ma la vera questione è se questi ostacoli devono prevalere sulla prima questione, quella di principio. Noi pensiamo di no! E lo diciamo anche contro i nostri interessi e lo ribadiamo anche di fronte agli evidenti rischi di organizzazione del lavoro in alcune aziende. Però dobbiamo essere coerenti. Come Univa sosteniamo da tempo che i corpi intermedi devono essere in grado di farsi portatori di un interesse generale che vada oltre quello di parte. E oggi il primo interesse generale da garantire è quello della salute e di arginare una volta per tutte la pandemia. Ad ogni costo. Ma c’è anche una questione pratica che ci fa schierare a favore del Green pass. Come imprenditori siamo i responsabili della sicurezza nelle aziende. E oggi i massimi livelli di sicurezza in termini anti-contagio da Covid passano per i vaccini e il Green pass. Su questo non c’è discussione. Ecco perché come Confindustria siamo sempre stati a favore dell’obbligo vaccinale o, in sua assenza, dell’obbligatorietà del Green pass per entrare in azienda».
LE TRE PREOCCUPAZIONI DELLE IMPRESE
«Su tutte stanno emergendo tre preoccupazioni. L’eccessiva tutela della privacy: sento molti colleghi sbigottiti dal fatto di non poter organizzare i controlli anche sulla base della raccolta volontaria, da parte dei lavoratori, dell’informazione sulla scadenza del proprio Green pass. Perché continuare a controllare tutti i giorni il Green pass di un lavoratore (come sistema Confindustria suggeriamo il check quotidiano, anziché quello a campione) se questo è disposto a dirmi che il suo scadrà dopo il 31 dicembre? Assurdo. Così come è assurdo che la violazione di questa normativa sulla privacy abbia ammende superiori a quelle relative al Green pass. Una maggiore flessibilità da parte del Garante della privacy renderebbe più facile l’applicazione della normativa e aiuterebbe le imprese nel rivestire il proprio ruolo di sentinelle di sicurezza e tutela della salute.
L’impennata delle malattie: chiediamo di tenere monitorato l’andamento dei giorni di malattia dopo il 15 di ottobre. Molti colleghi segnalano il timore di irriducibili no-Green pass di volersi nascondere dietro il ricorso pretestuoso alla malattia. Chiediamo su questo controlli ferrei per evitare aggiramenti della sospensione senza retribuzione e la piena collaborazione dei medici di base. Ognuno deve fare con rigore e senso di responsabilità collettiva la propria parte».
«Altra questione molto pratica è quella della gestione dei trasportatori molti dei quali ormai dell’Est Europa e vaccinati con lo Sputnik non riconosciuto dall’Ema. Su questo aspetto va fatta chiarezza e va sanata una situazione che già in alcune aziende del territorio sta rischiando di portare ad un blocco delle forniture. Molti camion non stanno partendo dall’estero di fronte a dubbi di gestione e interpretativi: farli entrare nel piazzale dell’azienda oppure no? Scaricare il camion senza far scendere dalla cabina l’autista? Allestire (per chi può) zone di scarico esterne all’azienda?».
QUESTIONE TAMPONI: CHI LI DEVE PAGARE
«Non ho notizie dirette di imprese sul nostro territorio disposte a pagare il tampone ai dipendenti non vaccinati, come ho sentito stia avvenendo in altre province. Anche se fosse, capirei, anche se non condivido, i motivi di praticità per garantire la continuità operativa. Detto questo, però, noi siamo per suggerire alle imprese di non pagare i tamponi, verrebbe meno lo spirito della norma che si ispira all’aumento del numero di vaccinati. Un modo gratuito per andare in sicurezza al lavoro in azienda c’è già: vaccinarsi. Chi non vuole vaccinarsi non può far ricadere il costo di questa sua scelta sulla collettività. C’è poi una questione molto pratica: se pago come impresa i tamponi ai lavoratori non vaccinati introduco un benefit e un sostegno al reddito che, per evitare disparità, devo comunque compensare con dei riconoscimenti anche ai vaccinati. I costi per il sistema produttivo sarebbero insostenibili. Alcune forze politiche stanno avanzando la proposta di far pagare allo Stato i tamponi, “come gesto di pacificazione” è stato detto. Lasciamo al Governo il compito di una scelta politica. In linea di principio, per gli stessi motivi di cui sopra, siamo contrari, sarebbe quanto meno una contraddizione e introdurrebbe una disparità di trattamento tra cittadini».
RISCHIO DI BLOCCHI DI PRODUZIONI SUL TERRITORIO
«Questo lo vedremo, si tratta di un rischio estremo. In alcune aziende ci saranno complicazioni organizzative, questo sì. Ma non possiamo cedere al ricatto delle competenze e dei ruoli dei singoli. Tutti devono avere il senso della comunità e dei propri diritti, sì, ma anche dei doveri. Noi ci assumiamo quello dei controlli del Green pass in azienda. Tutti facciano la loro parte. Le imprese sono abituate a saltare gli ostacoli. Quello del Green pass è molto più basso rispetto ad ostacoli già superati nel recente passato pandemico o che ci attendono nel prossimo futuro: aumento dei costi energetici, delle materie prime e logistici in primis».
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