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La costruzione di un amore: la famiglia come gesto quotidiano

Tra fragilità, accoglienza e coraggio, Cavallari racconta una coppia che sceglie l’adozione non per riempire un vuoto, ma per abitare l’altro. Un libro che restituisce senso alla parola “noi”

Generico 03 Nov 2025

Ci sono libri che non raccontano una storia, ma un respiro. La costruzione di un amore – Storia di una famiglia adottiva, l’ultimo lavoro di Fabio Cavallari, appartiene a questa categoria rara. Non è un romanzo nel senso tradizionale, né un saggio sull’adozione o un manuale di buone pratiche familiari. È, piuttosto, un atto di restituzione: la storia di una coppia e della loro famiglia che diventa specchio di un modo possibile di stare al mondo, di costruire legami autentici nel tempo dell’incertezza.

Cavallari, scrittore e giornalista, mette la propria voce al servizio di due protagonisti reali, Marta e Mattia, e dei loro tre figli – Giovanni, Samuele e Likuta – figli adottivi solo per la legge, ma figli e basta nella verità dell’amore. Attraverso le parole dei genitori, alternate e complementari, l’autore compone un racconto corale che ha la forza di una testimonianza e la delicatezza di una confessione. «La famiglia non nasce da un atto formale – scrive Cavallari – ma da un gesto. Una mano sulla spalla, un piatto lasciato da parte per l’ultimo che arriva. È lì che una casa comincia.»

Un amore che non si eredita, ma si costruisce

Fin dal titolo, il libro chiarisce il suo movimento profondo: l’amore è una costruzione, non un sentimento statico. Si tesse e si disfa, cresce nelle crepe, trova forza nell’imperfezione. La storia di Marta e Mattia ne è una dimostrazione concreta. Si incontrano per caso, durante una giornata di volontariato, e scoprono che il loro modo di amare coincide nel gesto più difficile: restare. Restare anche quando la vita devia dalle aspettative, quando il destino biologico nega la genitorialità, quando la fragilità entra in casa come ospite permanente.

Mattia scopre di non poter avere figli. Ma invece di chiudere la porta, apre una finestra: l’adozione non è un ripiego, diventa il cuore di un progetto d’amore che si nutre di fiducia e di verità. Marta, dal canto suo, porta nel matrimonio la propria esperienza di sorella di un ragazzo con sindrome di Down, una scuola di sguardo e di pazienza. La sua idea di accoglienza nasce lì: nella consuetudine alla differenza, nella tenerezza imparata dentro la fatica. L’incontro tra i due non genera una “famiglia ideale”, ma un laboratorio umano, una casa che si fa e si disfa ogni giorno.

La famiglia come cammino, non come forma

L’adozione, nel racconto di Cavallari, non è una parentesi né un tema sociale da illustrare: è una metafora dell’esistenza. Accogliere un figlio con una storia precedente significa, per Marta e Mattia, accettare che l’altro non ci appartenga mai del tutto. Ogni adozione è un doppio movimento: accogliere e lasciarsi accogliere. E il vero legame nasce non dal sangue, ma dal riconoscimento reciproco.

Il libro entra anche nei dettagli concreti del percorso: i colloqui con i servizi sociali, i test psicologici, le visite in casa, le attese interminabili. Ma Cavallari evita ogni tono polemico o sociologico: l’attenzione è sempre rivolta all’interiorità, a ciò che questo processo smuove dentro chi sceglie di farsi genitore non per diritto naturale ma per fede nella relazione.

Ogni pagina mostra che non si adotta un bambino: ci si adotta a vicenda. E quando arrivano Giovanni, Samuele e Likuta, il libro non celebra un lieto fine, ma apre un nuovo inizio. Le difficoltà, le paure, le incomprensioni diventano il vero terreno dell’amore. La cucina in disordine, le porte che sbattono, le notti insonni: è lì che prende corpo la famiglia, nel quotidiano, nei piccoli gesti che non cercano perfezione ma verità.

Un amore che si fa parola

Il linguaggio di Cavallari è una delle chiavi del libro. È una scrittura sobria, fatta di respiro e silenzio, che evita la retorica e scava nelle pieghe della realtà. Ogni frase sembra meditata, cesellata come una pietra di fiume. La voce di Marta domina la scena – limpida, narrativa, concreta – mentre quella di Mattia, affidata al corsivo, ha una densità più riflessiva, quasi contemplativa.

Insieme creano un equilibrio raro: il femminile come gesto, il maschile come parola che si ritrae, in un continuo passaggio di testimone. Tra le pagine affiorano riferimenti letterari e spirituali – Rilke, Kavafis, Giussani – che dialogano con la vicenda personale senza appesantirla. La citazione iniziale di Rilke (“L’amore consiste in questo: che due solitudini si proteggano a vicenda”) diventa il manifesto dell’intero libro: la coppia come luogo in cui le differenze non si annullano ma si salutano, si rispettano, si fanno spazio.

Una storia personale che diventa universale

Ciò che colpisce di La costruzione di un amore è la sua universalità silenziosa. Pur partendo da una vicenda concreta – una famiglia adottiva italiana – il libro tocca temi che riguardano tutti: la vulnerabilità, il desiderio di appartenenza, la paura di non essere all’altezza, la ricerca di senso in un mondo frammentato.

Cavallari ci invita a riconsiderare la famiglia non come struttura giuridica o identitaria, ma come atto politico e poetico: un modo di restituire senso alla parola “noi”. La casa, in questo libro, non è un luogo chiuso: è uno spazio che si apre, che accoglie la complessità, che accetta il rischio del cambiamento. “Essere genitori non è colmare un vuoto, ma aprirsi a un’alterità che ti cambia”, scrive l’autore. “Ogni figlio spalanca un vuoto che non si colma: ed è proprio in quel vuoto che prende forma il desiderio.”

Nel tempo in cui la genitorialità è spesso raccontata come un successo o una performance, La costruzione di un amore restituisce al verbo “costruire” il suo senso originario: faticare insieme, restare nella realtà, fare spazio alla sorpresa.

Cavallari ci mostra che la famiglia non è mai qualcosa che “si ha”, ma qualcosa che “si diventa”. E che l’amore – quello vero – non nasce dall’assenza di fragilità, ma dalla capacità di attraversarle. Un libro intimo e necessario, che non offre ricette ma consegna un respiro: quello di chi sceglie ogni giorno di ricominciare, di restare, di amare.

Pubblicato il 07 Novembre 2025
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