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L’Anpi Luino traccia i percorsi che hanno condotto centinaia di ebrei verso la salvezza in Svizzera

La proposta della realtà luinese è quella di trasformarli in autentici sentieri della memoria e della resistenza, segnalandoli attraverso una dettagliata cartellonistica. Le testimonianze di chi, quei tracciati, nel ruolo di guida o di fuggitivo, li ha percorsi

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Sono centinaia gli ebrei e i perseguitati politici del luinese che, durante il regime nazifascista, riuscirono a trovare salvezza nella vicina Svizzera. Lo fecero percorrendo diversi sentieri che, proprio in quel territorio, portavano.

A mapparli e renderli noti, con la proposta di trasformarli in autentici sentieri della memoria e della resistenza, è l’Anpi Luino. Attraverso i racconti di chi, o nel ruolo di guida o di fuggitivo, ha vissuto queste esperienze, la realtà luinese ha infatti ricostruito i principali itinerari di fuga e le storie ad essi legate, con l’obiettivo di far rivivere i pensieri e le emozioni di coloro che sono stati drammaticamente costretti a transitarvi in cerca di un’incerta salvezza oltre frontiera.

Testimonianze rilasciate nel 1975 da alcuni protagonisti della Resistenza nel Luinese e pubblicate su Travalia, rivista edita dalla Biblioteca Civica di Luino.

L’INIZIO DEL SENTIERO DELLA SALVEZZA

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(A cura di Giovanni Petrotta ed Emilio Rossi)

La testimonianza di Antonio De Vittori (guida di frontiera)

“Passai dal Pianazzo ma non dal tombinone come di solito. Una volta con Mongodi e Badi avevamo per quella via portato un’intera famiglia di Ebrei: padre – medico, madre, figlio e domestica, bensì al tombino a nord di Pianazzo, un passaggio più arduo ma non tanto sfruttato e quindi meno pericoloso dell’altro. Questa strada mi era stata insegnata da Odone, il giovane che aiutò Rosetta Garibaldi quando questa s’avventurò da sola con un gruppo di prigionieri verso la frontiera. Con Rosetta eravamo andati assieme qualche giorno dopo a guidare un nuovo gruppo, mentre Mongodi e Badi erano trattenuti in Svizzera. Essa procedeva avanti a tutti, fingendo di leggere un libro (si doveva forzatamente agire di giorno): seguimmo la stessa strada da lei percorsa sino al Cesco, ove trovammo l’Odone che ci guidò lungo il cammino a lui noto. Delle sue indicazioni feci tesoro in seguito”.

LA MAPPA DEGLI ITINERARI DI FUGA

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La testimonianza di Mario Baggiolini, costretto a rifugiarsi in Svizzera per sfuggire all’arresto

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Mario Baggiolini, residente a Nyon (Svizzera) figlio di prime nozze di Maria Badi, poi sposata in seconde nozze con Duilio Garibaldi, collaboratore di Don Folli e nel dopoguerra famoso entomologo.

“Il 3 dicembre 1943 (giorno dell’arresto di don Folli) qualcuno fu inviato alla Gera dalle suore che avevano saputo essere il mio nome fra quello dei ricercati …. Il giorno dopo avrei compiuto i 29 anni. Scesi in bicicletta verso Luino, evitando il paese; mi diressi poi alle Motte, ove conoscevo bene il buon parroco, avendo sovente organizzato riunioni coi suoi giovani di Azione Cattolica. Stava ancora mangiando: sorrise e non chiese molte spiegazioni. Mi disse che era meglio tentare subito il passaggio e mi accompagnò sino ad una cascina presso il confine. Quivi una donna stava accudendo alla letamaia; essa mi diede le ultime istruzioni e mi indicò il sentiero che doveva condurmi ad un cunicolo sotto la rete. Poiché dall’alto poteva scorgere i movimenti delle guardie tedesche, mi fece cenno quando la strada fu libera. Feci correndo quei 100 m di prato che mi separavano dal confine. Quivi mi attendeva una sorpresa: dalla parte Svizzera l’uscita era bloccata con una griglia. La paura raddoppiò le mie forze e riuscii a rimuovere l’ostacolo. Vidi con sollievo poco dopo il soldato elvetico che mi spianò contro il fucile ma divenne subito condiscendente quando gli mostrai il mio passaporto confederale”.

Duilio, Lina e mamma Maria Garibaldi: famiglia che favorì l’espatrio di chi fuggiva da un’ingiusta persecuzione

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La testimonianza di Rosetta Garibaldi, figlia di Duilio e di Maria Badi

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Rosetta Garibaldi fu una delle guide imprigionate ai Miogni di Varese, insieme alla mamma Maria, soprattutto per aver ospitato alla Gera la formazione partigiana “Lazzarini”. Oltre all’azione svolta con tutta la sua famiglia a favore degli esuli, ospitati alla Gera, Rosetta Garibaldi diede poi aiuto a formazioni partigiane, una delle quali fu sorpresa nell’ottobre ‘44 proprio in quel luogo. Sofferse a cagione di ciò un lungo periodo di carcerazione assieme alla madre.

“…Quella notte (dicembre ’43) arrivò un altro gruppo: non si era fatto in tempo ad avvisare l’ingegner Bacciagaluppi. Era composto da 5 persone che furono nascoste nella trincea del sasso, una delle tante opere militari disseminate sulle nostre colline prima della guerra 15/18. Non sapevamo che fare. Due delle guide erano state trattenute in Svizzera e le altre non osavano venire alla Gera: temevano che i tedeschi ritornassero il giorno dopo. Avevo allora 16 anni: mia madre consentì alfine che tentassi io di accompagnare gli alleati oltre confine. Mi avviai per via dei Lori e, con incosciente coraggio, portai la comitiva ad attraversare la Tresa alla passerella poco sotto la diga. Nei boschi del Cattél fummo più tranquilli e potemmo arrivare sino a Longhirolo; qui finivano le mie nozioni sulla strada per il confine. Lasciati i miei compagni nel bosco, decisi disperata di rivolgermi alla signora Bonalumi che conoscevo e alla quale apersi il cuore, chiedendo consiglio. Quella buona donna mi istradò verso il Cesco ove, mi disse, avrei certamente trovato aiuto. Così avvenne: domandai la strada al primo venuto che non esitò a farmi accompagnare dal figlio Mario Odone sino al confine. Avevamo appena lasciato Longhirolo quando vi transitò una pattuglia tedesca”.

Luino piange Rosetta Garibaldi Merini, una delle “protagoniste” della vicenda della Gera

LA RETE DI CONFINE DEL VALICO DEL PALONE (LA RAMINA) DISSEMINATA DA CAMPANELLI SENSIBILI AD OGNI MOVIMENTO

 

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La testimonianza di Secondo Sassi, attivista comunista, imprigionato insieme a Don Folli nel carcere di San Vittore anche per aver favorito gli espatri clandestini 

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Secondo Sassi, fabbro. Fuochista nelle ferrovie, dovette lasciare il posto già nel 1919, per motivi politici. Fu sindaco della Liberazione a Germignaga

A Biviglione l’organizzazione aveva raggiunto una notevole perfezione tecnica. Per azione di alcuni abitanti del luogo, veniva tesa nottetempo una fune fra le due parti del fiume Tresa e la gente veniva fatta passare per teleferica mediante un seggiolino di ferro e un gancio ch’io stesso avevo fabbricato. Il luogo del passaggio era presso la galleria della strada ferrata Luino – Ponte Tresa che era sorvegliato. Per tendere la fune era naturalmente necessario attraversare il fiume a guado, cosa difficile quando esso era in piena. Con questa teleferica entrò in Svizzera per esempio Violetta Meriti, vedova del ferroviere Gozzoli, a lungo perseguitata dai fascisti; abitava a Luino all’Isola dei Fiori e, durante una perquisizione, le gettarono dalla finestra, sfasciandolo, il piccolo telaio meccanico con cui lavorava in casa.

LA GALLERIA ATTRAVERSO LA QUALE PASSAVA LA STRADA FERRATA LUINO – PONTE TRESA E IL PONTE DI FERRO SUL FIUME TRESA DOVE FU UCCISO  IL GIOVANE ANTIFASCISTA PEPPINO CANDIANI

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Pubblicato il 11 Gennaio 2024
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