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Dialetto, salamelle e trecento tifosi per il Città di Varese in Terza Categoria

La squadra nata in estate dopo il fallimento del Calcio Varese ha fatto il suo esordio a Castelveccana, con tanta gente ad accompagnarla. Biancorossi vincenti 1-0 sulla Casport

Casport - Città di Varese

«Prima de murì, voeri almen vidée ‘n’altra volta ul Varés giügàa a Masnagh». «Quanti ann te gh’et». «Setantacinch, ma vò a vidée ul Varés dal ’64. Sperémm».

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Il siparietto è uno dei tanti al campo sportivo di Castelveccana, con le tre file di gradoni che guardano verso il lago e che anticipano il bosco e la montagna, sintesi perfetta per il paese della Casport. Si gioca in via Brughée e tutto sommato questo pomeriggio il dialetto fa ancora la sua parte, nella toponomastica e nei commenti dei tifosi. Tanti. Ne sono arrivati circa 300 per assistere alla prima partita del “Città di Varese”, la squadra fondata in estate per colmare il vuoto lasciato dal Varese, sparito con ignominia dal panorama del calcio dopo 109 anni.

Un Varese ancora molto presente (anche nella versione “1910”), ma solo nell’abbigliamento da stadio dei tifosi: cappellini, sciarpe, magliette, k-way e via dicendo riportano i vecchi loghi, e addirittura nel baretto della Casport penzola un gagliardetto biancorosso, perché anche da queste parti Neto Pereira e soci sono stati degli idoli. Oggi è tutto diverso, la Serie B è lontana anni luce e pure l’Eccellenza pare di un altro pianeta.

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I tifosi biancorossi a Castelveccana

Ma la gente se ne frega, al di là di qualche sbadiglio sugli errori tecnici. «Senza questi qui, non ci sarebbe più una squadra di calcio, quindi bravi loro e forza Varese» è uno dei commenti più ricorrenti prima e durante la partita, mentre lo staff della squadra di casa lascia sfrigolare le classiche salamelle sotto la tettoia vicina al bar. Gli striscioni sono quelli veri: ci sono gli ultras – una trentina – ma anche la “Passione Biancorossa”, inteso come club di tifosi. C’è chi si è portato appresso una sedia pieghevole, di quelle che si usano in spiaggia – impensabile usarla in uno stadio vero – e chi si fa accompagnare dal cagnolino. C’è anche benevolenza nel provare ad accostare i volenterosi ragazzi di mister Iori: «Quello lì sembra Zecchin» per via della struttura fisica, invece si chiama Campisi ed è un “falso nueve”, nel senso che il numero di maglia è quello ma la posizione in campo è lontanissima dagli spazi occupati dal centravanti.

Ruolo che è di Raed Harabi, fisico possente e origini tunisine: è lui a segnare l’unica rete del pomeriggio al 21′ del primo tempo, contrastando un rinvio del portiere e infilando la porta sulla palla divenuta vagante. Harabi che poi si rovina nel finale con due cartellini in 2′ compresa una simulazione evitabile in area di rigore. Ma siamo in Terza Categoria e certi scenari fanno parte del paesaggio, e del resto le storture del calcio arrivano fino a qui: possibile rinunciare a una punizione dal limite e a un corner per… andare sulla bandierina e difendere il risultato? Possibile.

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Ma per fortuna, i lati amatoriali, folkloristici (detto in senso positivo), ludici, divertenti rimangono preponderanti. E quando in campo entra il numero 13 biancorosso, l’applauso di tanti è spontaneo e sincero: Daniel lo scorso anno è stato tra i volenterosi ragazzi che hanno tenuto a galla – in segreteria – la bagnarola del Calcio Varese. Lui più di altri si meritava di scendere in campo, a rappresentare tutti coloro che si sono dati da fare in una società che i (presunti) dirigenti portavano a schiantarsi sugli scogli. A proposito, l’avrete intuito, il match si è concluso 1-0 per il Città di Varese, ma il risultato (salvo che per i giocatori) è davvero di contorno. Per chi oggi era presente, l’importante è aver rivisto una squadra vestita di bianco e di rosso.

Damiano Franzetti
damiano.franzetti@varesenews.it
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Pubblicato il 22 Settembre 2019
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