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L’ha violentata e poi uccisa, così Stefano ha “punito” Lidia

La Procura ha ricostruito la dinamica dell'omicidio di Lidia Macchi: Stefano Binda l'avrebbe prima violentata e poi uccisa perchè si sarebbe "concessa", violando i principi religiosi ai quali credevano

lidia macchi

La svolta clamorosa è arrivata dopo 29 anni esatti. La Procura di Milano ha arrestato il presunto assassino di Lidia Macchi. Stefano Binda, 47 anni di Brebbia, laureato in Filosofia e descritto come «colto», senza occupazione fissa, residente a casa della madre pensionata a Brebbia, nel Varesotto, e con un passato di droga negli anni ‘90. All’epoca aveva 19 anni e secondo gli inquirenti, sarebbe l’autore della lettera che venne recapitata a casa della famiglia della vittima, il giorno del funerale. Era il 9 gennaio 1987 e a scriverla sarebbe stato proprio Stefano Binda.

Nel messaggio, che una perizia calligrafica attribuisce al Binda, si alludeva ad alcune vicende legate alla vita di Lidia, la studentessa di 21 anni uccisa a Cittiglio il 7 gennaio del 1987. La giovane venne ritrovata in un boschetto dei pressi dell’ospedale, il corpo martoriato da 29 coltellate. Il giovane conosceva bene Lidia e frequentavano lo stesso circolo di Comunione e Liberazione. Secondo la ricostruzione avrebbe prima violentato la ragazza e poi l’ avrebbe uccisa: agendo nella convinzione che lei si era concessa mentre non avrebbe dovuto farlo per il suo «credo religioso».

La Procura sarebbe arrivata a lui tramite una donna che aveva ricevuto in passato lettere da parte dell’uomo e che avrebbe riconosciuto lo stile della calligrafia guardando una trasmissione televisiva che trattava il caso dell’omicidio di Lidia Macchi. Fu lei a notare che le lettere scritte all’epoca in relazione all’omicidio di Lidia Macchi coincidevano nello stile e nella forma con quelle che le erano state recapitate.

La Procura Generale di Milano, che avocò a sé l’indagine due anni fa da quella di Varese, archiviò la posizione di don Antonio Costabile (finito nel registro degli indagati e congelato per oltre 20 anni in quella posizione): dopo aver indagato anche Giuseppe Piccolomo, l’autore dell’omicidio delle mani mozzate di Cocquio Trevisago, le indagini hanno avuto una svolta verso Stefano Binda.

L’uomo è imputato di omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili, dalla crudeltà, dal nesso teleologico e dalla minorata difesa. Secondo la ricostruzione della Procura Binda avrebbe prima costretto la ragazza a un rapporto non consenziente e poi l’avrebbe uccisa con coltellate a gruppi di tre.

La ricostruzione delle fasi dell’omicidio partono dal momento in cui Stefano sarebbe salito sull’auto della giovane, il 5 gennaio 1987, nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio, dove Macchi si era recata per andare a trovare un’amica. L’auto avrebbe raggiunto una zona boschiva non distante dove il Binda avrebbe prima violentato la ragazza e poi l’avrebbe punita uccidendola, perché nella sua ottica aveva «violato» il suo «credo religioso» concedendosi.

Si tratta di un’indagine indiziaria e non è chiaro se l’uomo abbia costretto la ragazza a salire in auto con lui nel parcheggio e ad appartarsi vicino al bosco. L’avrebbe, poi, colpita, dopo la violenza, con numerose coltellate alla schiena in macchina e poi mentre cercava di fuggire, ad una gamba. Lidia Macchi sarebbe morta per le ferite e per asfissia, dopo una lunga agonia ial freddo. Quest’ultimo passaggio del capo di imputazione, formulato dal sostituto pg di Milano Carmen Manfredda, riprende alcune parole scritte nella misteriosa ed inquietante lettera anonima recapitata a casa della famiglia, il giorno dei funerali.

Pubblicato il 15 Gennaio 2016
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