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“San Quirico non è un luna park all’aria aperta. Se lo rispettiamo guarirà presto”

Vittorio Vezzetti e Leonardo Montagnani ben conoscono la collina di San Quirico: "Per almeno un decennio a venire il bosco bruciato sarà molto più delicato di prima"

san Quirico danni

È ancora presto per valutare a pieno le conseguenze che l’incendio di venerdì 15 aprile avrà sulla vegetazione e sulla fauna della collina di San Quirico, nel territorio di Angera e Ranco, sul Lago Maggiore.

Nella giornata di ieri il primo cittadino, Alessandro Molgora, ha compiuto un sopralluogo con i volontari della protezione civile e un esperto agronomo per osservare la situazione dopo le piogge dei giorni scorsi e prossimamente si potrà tracciare un bilancio più accurato dei danni e delle possibilità di recupero.

È però questo, secondo alcune tra le persone che ben conoscono la collina, come il pediatra ed ex vice sindaco di Ranco, Vittorio Vezzetti, il momento di invertire la rotta rispetto a come quest’area verde è stata vissuta negli ultimi anni. In poche parole: è necessario riflettere su come tutelarla d’ora in poi.

«Qualcuno interpreta San Quirico come una sorta di lunapark all’aria aperta. Downhill (ciclismo fuori strada, ndr) e Quad sarebbero da evitare – commenta Vezzetti -. L’incendio avvenuto il venerdì di Pasqua ha messo in evidenza il valore che i nostri boschi hanno per molte persone. Sempre più spesso cittadini e turisti fruiscono delle nostre colline nel tempo libero, per passeggiate, escursioni ed una immersione nella natura. Questo uso dei boschi fa parte dei cosiddetti servizi ecosistemici che la natura ci fornisce, insieme a quelli tradizionali di produzione di legna, strame e funghi che maggiormente caratterizzavano l’uso dei boschi di un tempo. Dobbiamo ora chiederci come riparare il danno subìto dal bosco anche oltre quei limiti (divieto di caccia e pascolo) già ben definiti dalle normative nazionali”.

Con Vezzetti anche Leonardo Montagnani, cittadino ranchese, ottimo conoscitore di questa collina e docente di Ecologia Forestale presso L’Università di Bolzano. «Io sono ottimista sulle possibilità che il bosco sappia rimarginare le ferite: il pino silvestre e la betulla sono specie che sanno convivere col fuoco, anzi sono favorite dal fuoco nei confronti di altre specie, quali il castagno ed il faggio, che caratterizzano ambienti più stabili – spiega l’esperto – Il castagno poi ha un’ottima capacità pollonifera, e certamente le ceppaie non muoiono dopo un incendio. Tuttavia, l’incendio può innescare un meccanismo di regressione se il bosco non viene rispettato. Per almeno un decennio a venire il bosco bruciato sarà molto più delicato di prima. Le piante nate da seme sono più delicate di quelle adulte, soffrono terribilmente il calpestio, l’erosione veicolare oltre ad essere maggiormente soggette ad ulteriori incendi. Il fuoco di superficie come quello avvenuto ha carbonizzato solo una parte modesta della massa legnosa e del carbonio presente nel suolo: quanto rimasto, spesso parzialmente secco, sarà per anni facilmente combustibile».

In questo momento la cautela e il rispetto della natura diventano quindi ancor più necessarie: «Non possiamo fare molto per la ripresa del bosco – prosegue Montagnani – ma dobbiamo stare veramente attenti a che un suo uso turistico e ludico non porti ad un facile degrado. Bisogna ripensare al bosco come elemento fruibile dalle persone, che devono però essere organizzate lungo pochi percorsi segnalati e ben delimitati, dove turisti ed appassionati di bicicletta possano sì godere della natura ma senza comprometterne la bellezza e le sue funzioni».

Anche il cambiamento climatico, come è noto, rappresenta un ulteriore fattore di rischio. «Dobbiamo considerare il bosco nella prospettiva di sempre più frequenti eventi di aridità come quello che ha portato al recente incendio -prosegue -. Condizioni di maggiore aridità non solo favoriscono gli incendi, ma mettono pure a rischio molte popolazioni animali e vegetali che caratterizzano i nostri boschi. I mirtilli a San Quirico erano abbondanti fino ad alcuni anni fa, mentre ora sono rari. Lo stesso si può dire per gli anfibi: la rana agile e la salamandra pezzata sono in fase di rapido declino numerico, al limite dell’estinzione. Si dovrebbe iniziare a pensare di realizzare dei bacini di raccolta di acqua dove favorire la riproduzione degli anfibi di collina, da poter utilizzare anche a scopo didattico. Credo inoltre che sia necessario istituire una forma di sorveglianza del bosco stesso. Penserei ad una telesorveglianza. Le telecamere, in particolare se ad infrarossi, si sono spesso rilevate utili al monitoraggio delle attività umane (anche illecite) e ad una rapida individuazione dei principi di incendio».

 

Maria Carla Cebrelli
mariacarla.cebrelli@varesenews.it
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Pubblicato il 27 Aprile 2022
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