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Sfidare in sella i propri limiti: Ultracycling, cos’è la nuova specialità del ciclismo estremo

Corse in bici che diventano sfide di sopravvivenza. Cos’è e come funziona l’ultraciclismo, l'ultima frontiera degli sport estremi su due ruote. Ce lo spiega all'atleta sestese Mario Favini

Ultracycling - Favini

(foto di Mario Favini)

Una vera e propria sfida contro sé stessi, per provare a superare i propri limiti in pedalate da centinaia e centinaia di chilometri. È questa la mentalità che sta alla base dell’ultracylicing, l’ultima e pionieristica specialità del mondo del ciclismo.

Ma cos’è esattamente l’ultracylicing, conosciuto in Italia anche come ultra-ciclismo, e perché alcuni atleti sono disposti a partecipare a gare letteralmente estenuanti, lunghe quasi il doppio del Giro d’Italia? Abbiamo provato a chiederlo a Mario Favini (in foto), ciclista di Sesto Calende e nome di spicco in Italia, come confermato lo scorso weekend quando si è posizionato sul podio dell’UltrApuane.

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«In Italia sono in molti a confondere le randonnée o altre tipologie di manifestazioni con l’ultracycling – spiega Favini -. Provo a sintetizzare le differenze in poche parole: l’ultracycling inizia dove finisce il ciclismo su strada tradizionale, sono corse da più di 300 chilometri, oltre dunque gare come la Milano-Sanremo,  “spogliate ” di dinamiche di gruppo tipiche del ciclismo tradizionale: partenze scaglionate e divieto di scia rendono di fatto queste gare delle lunghe cronometro.

«Parte della confusione – prosegue l’atleta – deriva dal fatto che, in quanto sport estremo, l’ultracycling è escluso dal circuito UCI (Unione ciclistica internazionale), anche se naturalmente esiste una federazione mondiale di riferimento, la WUCA, che organizza importanti corse come la Race Across America».

Come sottolineato dal ciclista sestese, di professione agente di polizia locale, la Race Across America (RAAM) è la primissima corsa di ultra-ciclismo nata negli anni ’80 e tutt’ora il punto riferimento in questo sport. La gara consiste in un’attraversata degli Stati Uniti “coast to coast”, dal Pacifico all’Atlantico per quasi 5mila chilometri. Come se non bastasse, la traversata è da affrontare in 12 giorni solo ed esclusivamente con il supporto delle automobili al seguito dei corridori per l’assistenza.

«Dodici giorni è un tempo davvero ridotto per percorrere i 4,8mila  km della RAAM – fa notare Favini -. Se paragonato a quello che è il ciclismo su strada “normale” è quasi il 30% in più del Tour de France da fare in poco più della metà del tempo. Gli atleti che arrivano al primo posto della RAAM di norma la fanno in 8 giorni, praticamente un terzo del tempo. Per questo motivo l’ultra ciclismo viene considerato come uno sport estremo, perché si porta al limite la “macchina-corpo umano”».

SFIDE DI SOPPRAVIVENZA IN TOTALE AUTONOMIA

Naturalmente esistono anche altre tipologie di corse ultracycling, un esempio è la Trans Am Bike Race, una gara “self-supported”, in totale autonomia. Queste gare sono senza dubbio quelle più avventurose e negli anni hanno riscosso sempre più seguito, diventando le gare maggiormente seguite e partecipate.

Gare ciclistiche che dunque diventano sfide di sopravvivenza in cui il cronometro non si ferma mai. Spetta così all’atleta organizzarsi al meglio, non solo dal punto di vista sportivo (a partire dalla postura in sella), ma anche per quanto riguarda la pianificazione del percorso, dei pasti, del sonno, delle luci e dei vestiti. Una gestione della gara totale.

Fondamentali sono il sonno e la lucidità di fermarsi a riposare (o riparare la bici) al momento giusto. «È proprio la lucidità che aiuta un atleta a capire quando fermarsi – spiega l’ultraciclista -. Conosco atleti che a causa della mancanza di sonno hanno avuto problemi di allucinazioni, ritrovandosi spaesati, o con l’impressione di pedalare sempre nello stesso posto. Bisogna conoscere se stessi e correre con consapevolezza e tranquillità».

UNO SPORT PIONIERISTICO

Tra i segreti che stanno rendendo così famoso e seguito questo sport c’è sicuramente l’aspetto pionieristico. Ci sono ancora molte cose da scoprire e studiare, ci spiega Favini, a partire dal protocollo di allenamenti che mirano a incrementare tanto la forza quanto la flessibilità e la resistenza, un po’ come nel ciclismo su strada ma con alcune sostanziali differenze, soprattutto per quanto riguarda la necessità di mettersi alla prova in vista delle difficoltà come pedalare di notte, al freddo o al caldo, testare l’attrezzatura, le luci, il navigatore.

«Uno degli aspetti più affascinanti – commenta  Favini– è l’ambiente che si crea tra i ciclisti che partecipano alle gare: corriamo tutti per superare un limite, e per questo ci supportiamo a vicenda tra amatori, professionisti, grandi campioni compresi fra i quali Omar Di Felice, Marcello Luca (vincitore della Race Across the West negli Stati Uniti),  Tommaso Bovi (primo posto alla Romagna Ultra Race), il veterano Valerio Zamboni ( 60 anni e 7 RAAM portate a termine), Mattia De Marchi (ex pro all’Androni Giocattoli e vincitore di molte gare – l’ultima la Transiberica Badlands, in Spagna).

«Cosa ci spinge a farlo? Per me è stata come una folgorazione. Quando ho scoperto che esisteva la Race Across Italy (a cui poi ha partecipato) nella mia testa si è acceso – o forse si è spento (ride, ndr) – un interruttore. Ho capito che volevo farla ad ogni costo. E le sensazioni che ricevo in gara non fanno altro che aumentare questo mio fuoco, quando sono in sella non c’è spazio nella mia testa per altri pensieri, penso soltanto a come gestire al meglio una situazione di difficoltà. Prima di arrivare a fare una gara ci vogliono due, tre mesi di preparazione e devo dire che la visualizzazione di quello che sarà l’arrivo della gara mi dà ogni volta una carica enorme».

ULTRACYCLING - MARIO FAVINI AL VIA DEI CAMPIONATI EUROPEI 12 ORE

Marco Tresca
marco.cippio.tresca@gmail.com
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Pubblicato il 08 Settembre 2021
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