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Gli SkaJazz, ovvero quelli che stanno nei corridoi o sulle scale

di Paolo Negri

Il racconto della domenica

“Diventa tutto quel che vuoi ma non uno SkaJazz, capito?”. Me l’avevano detto in tanti e a seguito dei miei “ma chi sono? E perché?”, tutti ribattevano: “lo capirai da solo”. E in me si perpetuava il mistero.
Quella sera entrai dalla porta principale e lo vidi lì, appoggiato al muro. Con una manica della giacca blu strofinava la sua tromba oro. Dj Virgilius scosse la testa poi mi prese la custodia dello strumento e mi fece segno di seguirlo: “Vieni bell’uomo, ti porto giù”.
Ero nel palazzo babelico della musica e, eccitato, mi accingevo ad esplorarne le più recondite stanze. Avevo un diploma buono, fatto di remix e note, concetti e viaggi, un curriculum che rivelava eccletticità. Mi avrebbero preso ovunque, in teoria. Bastava bussare, entrare, presentarmi, provare e…
C’era una canicola terribile laggiù. Le luci erano soffuse e il ritmo ambiguo. Le ballerine, alquanto succinte, erano il motore di quella vita che non conosceva giorno, di quel groove nato dai bisogni primari dell’essere umano. Dovetti sbottonarmi la camicia, resistere e, all’uscita, bere litri d’acqua per riprendermi. Dj Virgilius mi disse bonario: “non male non male, ora prova a salire ai piani alti, meglio assaggiare un po’ di tutto, ti accompagnerà una mia collega, lassù non mi vogliono, fosse per me, inciderei solo versi latini recitati sopra cumbie sudamericane!”.
Beatrix Lux mi venne incontro solare. Si rabbuiò solo quando transitammo davanti al tizio in corridoio, ora intento a soffiare fiato nel bocchino. “Passiamo oltre, per carità… lì puoi darti una pulita, poi saliamo”.
Lassù c’erano le orchestre, c’era la ricerca della grazia, dell’impeccabilità, nulla doveva essere  fuori posto.
Dovetti prendere appunti, stare attento a ogni accento, capire con quali minuziosi codici corporei la gente dialogava. Anche Beatrix Lux fu soddisfatta di me e mi propose: “adesso andiamo a fumarci una bella sigaretta, che dici? Non avere fretta di decidere, dormici sopra. L’etichetta discografica in fin dei conti è la medesima, sopra o sotto è sempre lo stesso boss che mette i soldi”.
Fece una sosta in bagno, io andai fuori dall’edificio a respirare un po’ di cielo stellato. Al capannello dei fumatori, una ragazza, alle mie spalle, si chiuse le ante del cappotto e replicò al suo interlocutore: “Uno di loro l’ho frequentato per un po’, sai? Abbiamo provato a entrare in qualche stanza ma siamo durati poco… lui preferisce fermarsi sulle scale.
Guarda, mi monta il nervoso a pensarci… Troppo poco elegante per salire e troppo poco viscerale per scendere, si giustificava in questo modo, vallo a capire… e così stava lì, a emettere le sue note… e le suonava insieme ad altri, si fanno chiamare gli SkaJazz”.
Quella parola! SkaJazz! Non capii immediatamente il perché era consigliabile non diventare uno di loro ma quando sentii il suono della tromba partire malinconica per arrivare fervida, dritta al cuore, mi colse un freddo timore: e se fosse proprio questa la mia musica?
Al termine della lettura, si consiglia l’ascolto del brano BABY di David Hillyard  Rocksteady7

Racconto di Paolo Negri (www.ilcavedio.org). Serie “Non sono canzonette”, dedicata a Maniglio Botti

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Pubblicato il 22 Giugno 2025
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