Il mandala
di Abramo Vane

Se fossero tutti come Barbara & Michele, la nostra Vetrina da leggere già volerebbe, purtroppo nella cittadina dove il tempo si è fermato c’è gente piena di grana che a tirar fuori cento euro sta male, sta proprio male fisicamente, e allora che ci puoi fare, dici forza e coraggio e applichi la politica dei piccoli passi, e se tutto dovesse andare a ramengo, ed è più probabile questo che non la realizzazione del sogno, resterebbero l’essenza dell’azione e il fascino di averci provato… ma non divaghiamo, sapete che hanno fatto l’altro giorno i due soprannominati? Hanno chiamato nel loro negozio di mobili orientali alcuni monaci tibetani a realizzare un mandala. Io sono arrivato alla sera e mi dispiace di non aver seguito tutto l’avvenimento anche se non è stato difficile ricostruirlo. Dalla mattina i monaci seduti attorno a una tela avevano aspirato per tutto il giorno granelli di sabbia con un piccolo cono da alcuni mucchietti che servivano per riempire e costruire il mandala, ce n’erano di rossi, gialli, verdi, neri, tutti i colori, e questi granellini, risucchiati con pazienza infinita, uno alla volta, erano scivolati lungo la spirale attorcigliata del cono per andare a collocarsi, secondo il colore, nello spazio prestabilito, e alla sera il mandala era terminato, una serie di cerchi e figure geometriche formavano un mosaico, e tutti dicevano che bello che bello, e così si giunse alla benedizione dell’opera, e parole cantilenate, incomprensibili per noi che però ne percepivamo la profondità, accompagnarono una cerimonia semplice, e alla fine la sabbia che componeva l’opera d’arte fu raccolta al centro del mandala, e in pochi secondi svanì quella figura che era costata il lavoro di una giornata, i monaci ridevano soddisfatti, e ne prese forma un’altra, come se da una pittura figurativa si fosse passati a una astratta, e io mi ricordai a proposito la lezione del pittore Gianluigi Sommaruga, passato dal figurativo all’astratto, e però nemmeno quel disegno rimase e i granelli di sabbia furono distribuiti in bicchierini fra i presenti, e mi sembra che a tutto questo non occorrano commenti. Noi cercavamo di imitare con i nostri sorrisi la serenità che traspariva dai visi di quei monaci, ma ahimè non ci riuscivamo, e Michele si avvicinò e sottovoce disse pazienza, ragazzi, avremo un’altra vita per riprovarci.
Racconto di Abramo Vane (www.ilcavedio.org), tratto da “Un Cavedio nella storia”, in occasione del venticinquesimo della Vetrina da Leggere di via Cavallotti
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