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“Quando il fascismo dettava la dieta”: la politica nel piatto degli italiani

A Materia Spazio Libero lo storico Enzo Laforgia ha presentato "Quando il fascismo dettava la dieta", un saggio che smonta falsi miti e ricostruisce una pagina della storia italiana: l’alimentazione sotto il regime fascista

Enzo Laforgia a Materia

L’alimentazione degli italiani durante il fascismo è un tema sorprendentemente poco esplorato dall’accademia. Il libro di Enzo Laforgia, dal titolo “Quando il fascismo dettava la dieta” (People) , indaga proprio questa zona d’ombra della memoria storica, smascherando miti e rivelando il legame profondo tra politica, ideologia e cibo. L’autore lo ha presentato a Materia Spazio Libero, con la moderazione del vicedirettore di Varesenews Michele Mancino.

La cucina sovranista nasceva già nel 1935, a seguito delle sanzioni della Società delle Nazioni per l’aggressione coloniale all’Etiopia. Il regime di Mussolini reagì trasformando il risparmio alimentare in un dovere patriottico. Le cucine si fecero trincee. La propaganda imponeva ricette autarchiche e ingredienti “italiani al 100%”. Il coinvolgimento familiare e l’istituzione del ministero della Sovranità Alimentare hanno dato a Laforgia l’idea di portare luce su questo passato dimenticato.

La cucina autarchica: tra conigli, karkadè e “insalata tricolore”

La chiamata alla sobrietà alimentare colpì una popolazione già duramente provata dalla crisi del 1929 e dalla politica monetaria della “quota 90″, finalizzata a portare a 90 lire il cambio con la sterlina. All’epoca, un italiano su tre era sottoalimentato, eppure il regime imponeva una dieta di guerra a chi già era abituato a digiunare: carne rossa una volta a settimana, promozione di polli, conigli, riso e pesce (mal distribuito e poco consumato). Il tè inglese fu sostituito con il karkadè, un fiore rosso che voleva giustificare il colonialismo, e persino le parole straniere venivano bandite. Anche l’insalata russa diventava insalata tricolore, per “allontanare lo spettro bolscevico”.

Così anche la propaganda linguistica si rafforzava: nel 1940, l’Accademia d’Italia, presieduta da Giovanni Gentile, pubblicava liste di parole “pure” da usare a tavola. Il cibo diventava così uno strumento ideologico, capace di rafforzare identità, esclusioni e illusioni.

Enzo Laforgia a Materia

L’autore ha un legame personale con questo passato. La madre nata nel 1928, cresciuta durante la dittatura fascista, è testimone diretta del mutamento del gusto e delle abitudini in funzione della politica. “Solo dopo la guerra, con un regalo del nonno imparò a cucinare bene” sorride l’autore. Prima tutto era improntato a risparmio, riciclo, valorizzazione dei prodotti italiani. La cucina era un dovere, non un piacere: un campo di battaglia morale.

Marinetti, la pastasciutta e l’avanguardia della dieta patriottica

Non è Mussolini il primo a fare dell’alimentazione un settore politico. Filippo Tommaso Marinetti, con il suo Manifesto della cucina futurista del 1930, proponeva addirittura di abolire la pastasciutta, accusata di rendere il popolo italiano “fiacco” e poco pronto alla guerra. Il corpo doveva essere funzionale alla patria: militarizzato.

In questo clima, anche la frutta diventava patriottica: le banane coltivate in Etiopia, su proposta di Mario Calvino, padre di Italo, venivano promosse come simbolo del successo coloniale. Il monopolio sulle banane durò fino al 1963, con una fine burrascosa: una Tangentopoli ante litteram, con centinaia di arresti e processi che smascherarono la rete affaristica dietro alla frutta “regia”.

Colonialismo nel piatto: tra Tripolini, torta assabese e liquirizia “Taitù”

I riflessi coloniali nel linguaggio gastronomico italiano sono durati a lungo. “Tripolini” o “tripoline” per formati di pasta, “orecchie di elefante” per cotolette, “torta assabese” e persino una marca calabrese di liquirizia chiamata Taitù (nome dell’imperatrice etiope): tutte suggestioni africane, tracce mai rimosse dell’epoca coloniale.

Laforgia ricorda così che la cucina non è mai solo una questione di gusto, ma un riflesso profondo del potere, della memoria e dell’identità.

La banana patriottica: quando il fascismo trasformò un frutto in propaganda

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Pubblicato il 27 Maggio 2025
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