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Varesotti di tutto il mondo, in nome del paesaggio

Se lo sport nazionale dei varesini è lamentarsi della propria città, ci sono un sacco di “stranieri” che a Varese ci sono arrivati per caso o per scelta e ci si trovano benissimo: ecco alcune voci

Fuggire da Varese? fossero matti.

Se lo sport nazionale dei varesini è lamentarsi della propria città, ci sono un sacco di “stranieri” che a Varese ci sono arrivati per caso o per scelta e ci si trovano benissimo. 
Solo nella nostra redazione sono in due ad essersi spostati, con soddisfazione, dalla metropoli: e se in un caso la destinazione è stata il capoluogo, Varese, per l’altro la destinazione è stata la Paolo Oldanipiccola Orino, così diversa dalla grande città. Di casi  però ce n’è molti di più: Paolo Oldani (foto a sinistra), per esempio, che è stato candidato sindaco a Porto Valtravaglia, in quel paese ha cominciato a venirci da milanese. Come molti turisti dell’epoca aveva una casa di vacanza, che raggiungeva d’estate. «Trent’anni fa avevo un negozio d’abbigliamento in via Serbelloni. Poi mi sono sposato con una ragazza di Luino e ora vivo qui: ho un negozio di produzione e un laboratorio artigianale, lavoriamo per grossi marchi come Tod’s, e Etro. E sto benissimo».
 
«I punti positivi del mio trasferimento a Varese da Milano – spiega invece Paolo Pedrazzini
copywriter milanese venuto ad abitare nella città giardino – sono soprattutto di tipo climatico-ambientali: vedere ancora il cielo, avere un bosco dietro casa, sentire il vento muovere le foglie degli alberi, non sciogliermi dal caldo quando viene l’estate, non sentire la puzza di letame (giuro, ma magari fosse quello) di cui spesso Milano è impregnata. E poi c’è il silenzio. Nelle notti d’estate, a finestre aperte, capita di sentire l’ingranaggio dell’orologio della chiesa di Velate muoversi prima dei rintocchi. Dei varesini ho una opinione meno idilliaca, ma questa è un’altra storia».

 
Rainer bleschNon arrivano solo da Milano, però, i “pentiti” della grande città. Complici le multinazionali o altri avvenimenti personali, in provincia ci sono “varesotti” di ogni nazionalità. 
Rainer Blesh (nella foto accanto), per esempio è arrivato in Italia nel 1996, per una di quelle “missioni aziendali” che si accettano per fare una carriera più brillante. E non si è mosso più: tanto qualche tempo  fa è andato in pensione dalla sua azienda, la Whirlpool, e ha deciso di rimanere qui.«Non ho nessuna intenzione di tornare in Germania: qua stiamo benissimo – ha spiegato Blesch – Varese ha bisogno di capire, prima di fare nascere una relazione. Ma dopo è molto calorosa. Adesso siamo molto contenti. Senza contare l’aspetto paesaggistico: per la maggior parte dei nostri conoscenti questo è un posto da farci le vacanze, non sembra vero poterci vivere»
 
La fotografa Isabel Lima, invece, sarebbe più cittadina del mondo, ma a Tradate ci sta per i figli e l’arrivo in Italia è stato il coronamento di un sogno: «L’Italia è il paese che tutti gli artisti vogliono conoscere, patria di Leonardo da Vinci, Michelangelo e gran parte di chi ha fatto la storia dell’arte. Io sono arrivata in Italia nell’ 87, e sono ancora qui a Tradate. Senza però interessi particolari. Francamente, con il mondo in casa e con i collegamenti di oggi, non mi importa più essere davanti al lago o al mare» Lei è l’unica che andrebbe via da qui: «Mi piacerebbe abitare in una grande metropoli, non mi piace troppo la pace. Se avessi avuto più soldi sarei andata a Milano, New York, Parigi».
 
Un caso, che ha come contraltare quello dei "varesini ad oltranza" che dalla provincia non si sposterebbero mai: «Io lavoro in una multinazionale e ho già rifiutato delle occasioni di lavoro per non spostarmi da qui – spiega Matteo Geronimi, responsabile di Assoturismo e animatore dell’Enotour dei laghi appena concluso – Avrei dovuto attraversare l’oceano, ma non riesco nemmeno a pensare di lasciare Castelveccana».
 

Pubblicato il 01 Giugno 2010
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