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Recupero delle liste d’attesa: sindacati contro il direttore sanitario dell’Asst Sette Laghi

Le rappresentanze aziendali di Cgil Cisl e Uil contestano il piano di recupero entro fine anno quando la Regione prevede solo il 10% del pregresso. Temono si imponga il modello dell'emergenza attuato durante la pandemia

chirurgia  covid

Piani mirabolanti a quale costo? Se lo chiedono i delegati sindacali di Cgil, Cisl e Uil dell’Asst Sette Laghi commentando il piano di recupero delle liste d’attesa presentato dal direttore sanitario Lorenzo Maffioli. ( leggi l’intervista al dr Maffioli).

«Ci riferiamo alla notizia apparsa su Varesenews in data 14/09/2021, con la quale la ASST dei Sette Laghi espone il progetto, come dichiarato dal Direttore Sanitario, di “smaltire il lavoro che il COVID ci ha bloccato” entro la fine dell’anno, per quanto riguarda le prestazioni chirurgiche ed ambulatoriali. Il recupero dovrebbe essere possibile, come afferma il Direttore Sanitario, non solo grazie allo sforzo organizzativo, ma anche in considerazione del “personale aumentato in questi mesi” – spiegano i segretari Gianna Moretto FG Cgil, Nunzio Pratico Cisl Fp dei Laghi, Antonio Negro Uil FPl – Non è la prima volta che il direttore sanitario affronta il tema dell’aumento del personale. Lo aveva già fatto nel maggio scorso, ma neanche allora era stato convincente. In quella occasione veniva dichiarato che l’assunzione di 230 infermieri avrebbe comportato il ritorno alla normalità (sempre invocata ma mai raggiunta) per il funzionamento delle attività ospedaliere. Il dato delle assunzioni, anche se veritiero a nostro parere già allora pareva fuorviante. Infatti, dei 230 infermieri assunti (o in procinto di esserlo) calcolavamo che 120 sarebbero stati impegnati nell’attività vaccinale, in considerazione delle linee attivate a pieno regime; 34 assunzioni erano delle stabilizzazioni, ovvero infermieri che già lavoravano alla ASST dei Sette Laghi; 80 assunzioni sarebbero state necessarie per sostituire il personale pensionato. Senza conoscere i licenziamenti volontari. Cosa rimaneva dei tanto annunciati aumenti di personale a garanzia del ritorno alla normalità delle attività ospedaliere? Ben poco.

Il problema del cosiddetto “ritorno alla normalità” si ripropone anche oggi, sotto forma del recupero delle attività chirurgiche ed ambulatoriali. Ma con quali forze in campo? Francamente ancora non lo comprendiamo. Alla domanda fatta dalle organizzazioni sindacali all’azienda di rendere noto quanto personale infermieristico è assegnato alle attività chirurgiche nel triennio 2019/2020/2021 non è stata data risposta. La richiesta di sapere quanto dura effettivamente un programma di interventi in sala operatoria non ha trovato riscontro. I dubbi espressi dalle organizzazioni sindacali in merito alla fruizione delle ferie non ha avuto che generiche rassicurazioni. Ma quello che più colpisce è che l’aumento delle attività chirurgiche determinerà inevitabilmente un aggravo di tutte le attività pre e post operatorie, aspetti non considerati nella programmazione che l’azienda ha mostrato alle organizzazioni sindacali. Non è nemmeno chiaro come saranno affrontati gli inevitabili eventi imprevedibili che generano il pronto soccorso e le complicanze operatorie.

Al quadro delineato si aggiunge la notizia che gli operatori amministrativi del CUP subiranno un possibile spostamento in altre sedi rispetto a quelle abituali di lavoro, al fine di fronteggiare l’impatto amministrativo che determina l’aumento delle attività ambulatoriali, l’azienda ha dichiarato inoltre, che non sostituirà le 8 persone mancanti, perché entro 2 , 3 mesi verranno sostituite da un servizio informatico, che l’azienda deve ancora acquistare. Temiamo che i cittadini dovranno confrontarsi velocemente con software in rete con il sistema regionale che a detta dagli operatori già adesso crea spesso disservizi.

Quello che preoccupa, leggendo le dichiarazioni del direttore sanitario, è il modello organizzativo che la ASST vuole attivare per il recupero delle attività chirurgiche ed ambulatoriali, lo stesso utilizzato durante il periodo di emergenza da COVID19. Siamo davanti allo stato di emergenza permanente, dove l’unica risorsa che può essere gestita è il tempo di lavoro, aumentando lo stesso ben oltre i limiti sopportabili, in una visione dove tutto deve essere sacrificato in nome di un modello organizzativo che considera gli operatori della sanità al pari di una qualsiasi altra risorsa tecnologica.

Il recupero delle prestazioni sanitarie non fatte durante la pandemia è l’obiettivo di tutti. Ma che questo venga raggiunto in quattro mesi ed in una condizione di emergenza permanente, dove alla fine il sistema regge solo ed esclusivamente sul sacrificio dei lavoratori della sanità, obbligandoli ad interminabili giornate lavorative, crediamo che non sia più accettabile. Ma lo è ancor meno se consideriamo che Regione Lombardia ha posto come obiettivo quello di aumentare le attività del solo 10% e non di recuperare tutto l’arretrato entro la fine dell’anno, come annunciato dal direttore sanitario. Noi difendiamo la salute dei lavoratori e facendo ciò difendiamo anche il funzionamento e la qualità dei servizi erogati dal sistema sanitario. La direzione della ASST vuole dimostrare ancora una volta di essere la prima della classe, costi quel che costi».

Pubblicato il 08 Ottobre 2021
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