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“L’accordo raggiunto tra Italia-Svizzera sui frontalieri è il migliore possibile anche per il territorio”

Le condizioni per gli attuali lavoratori, i "ristorni" per i comuni, i soldi per i servizi e l'assegno di frontiera. Parla Massimo Mastromarino, sindaco di Lavena Ponte Tresa e presidente dell'Associazione italiana dei comuni di frontiera

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Il nuovo accordo tra Italia e Svizzera per l’imposizione fiscale ai lavoratori frontalieri è appena entrato ufficialmente in vigore e secondo Massimo Mastromarino, sindaco di Lavena Ponte Tresa e presidente dell’Associazione italiana dei comuni di frontiera, il risultato raggiunto è quello “del miglior accordo possibile”.

Mastromarino non parla soltanto delle molte condizioni in favore dei lavoratori ma in particolare del risultato raggiunto per il bene del territorio di frontiera.

Presidente, quali sono secondo lei i punti più importanti ottenuti con questo nuovo accordo?

Il primo riguarda le condizioni mantenute per gli oltre 71mila lavoratori frontalieri, il secondo il mantenimento della logica dei vecchi “ristorni” per i comuni di frontiera e il terzo la destinazione territoriale dell’extragettito che sarà corrisposto per i nuovi frontalieri assunti dal 17 luglio 2023 in poi.

Andiamo con ordine, cosa si è ottenuto per gli attuali frontalieri?

È un risultato che non era scontato: abbiamo ottenuto che i 71mila frontalieri, ovvero i lavoratori già assunti e residenti nei comuni entro 20 chilometri dalla fascia di confine, non verranno tassati con le nuove regole ma manterranno il regime attualmente in vigore. Io ho fatto una stima macroscopica sulla base degli indicatori attuali e risulta che nell’arco di tutta la loro carriera lavorativa questo si tradurrà in una minor tassazione pari a 2 miliardi di euro. È una cifra enorme.

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Il presidente dell’Associazione italiana dei comuni di frontiera Massimo Mastromarino

Cosa accade, invece, agli attuali “ristorni”, ovvero quella cifra che veniva annualmente corrisposta ai comuni nei quali i frontalieri erano residenti?

Questo è il secondo punto che mi fa definire questo il miglior accordo possibile. La logica dei ristorni era nata per via del fatto di poter garantire servizi e investimenti nei comuni in cui risiedevano i lavoratori frontalieri che guadagnavano e pagavano le tasse in Svizzera. Con questo accordo il principio viene mantenuto: è stata fissata in 89 milioni di euro la cifra annuale che verrà trasferita a tutti i comuni nella fascia di confine suddivisa sulla base dei frontalieri che vi abitano. Teniamo conto che si tratta della cifra massima raggiunta dai vecchi “ristorni” nel 2019.

Si tratta di soldi che i comuni potranno quindi continuare a spendere, ma in che modo?

La novità importante è che con il nuovo accordo si stabilizza la regola per la quale il 50% della somma attribuita ai comuni potrà essere utilizzata per le spese correnti, mentre prima era solo il 30%. Questo è importante perché i comuni oggi più che costruire nuovi servizi o investimenti devono riuscire a mantenere le opere già realizzate in questi anni. Ora sarà più semplice.

E veniamo al terzo punto, la destinazione dell’extragettito. Che cosa significa dal punto di vista territoriale?

Si tratta di un nuovo meccanismo che inizialmente avrà un impatto piccolo ma che negli anni è destinato a diventare importantissimo. In sostanza il nuovo accordo definisce che l’extragettito che sarà pagato attraverso le imposte in Italia dai lavoratori frontalieri sarà destinato con una precisa logica territoriale in due modi: il primo per interventi di carattere socio-economico destinati ai frontalieri, pensiamo ad esempio ad asili nido o servizi di vario genere; il secondo, anch’esso molto interessante, sarà il cosiddetto “assegno di frontiera”.

Cosa sarà questo “assegno di frontiera”?

Si tratta di una somma pensata per essere corrisposta a quei lavoratori che nelle fasce di frontiera decidono di rimanere a lavorare in Italia. Un contributo pensato per combattere il cosiddetto dumping salariale, ovvero lo sbilanciamento dello stipendio percepito da un lavoratore o da una lavoratrice in base alle condizioni meno vantaggiose del mercato del lavoro italiano.

Si tratta di risorse tanto ingenti da avere un impatto?

L’effetto sarà crescente negli anni, teniamo conto che nel 2025 parliamo di una somma che si aggira attorno al milione e mezzo di euro, ma fra vent’anni saranno 230 milioni di euro l’anno. La loro destinazione sarà definita attraverso un tavolo tra Stato, regione, comuni di frontiera e sindacato. Sappiamo che il problema è più ampio ma comunque si tratterà di risorse importanti.

Pubblicato il 21 Luglio 2023
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