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Perché il mondo del 21° secolo ha ancora bisogno di re e regine

Mantengono e alimentano il supporto popolare, impediscono l'emergere di forme estreme di governo e soprattutto arricchiscono le casse dello Stato

regina Elisabetta II

C’erano una volta un re e una regina… e nel 21° secolo ce ne sono ancora tanti. Di Elisabetta II d’Inghilterra ce n’è stata una sola, ma il numero di regnanti attuali nel mondo è sorprendente: in un paese su quattro vige la monarchia, un fenomeno tutt’altro che irrilevante dal punto di vista storico, politico, economico e sociale. Ne è prova quello che sta accadendo nel Regno Unito. Al di là dell’aspetto emotivo e celebrativo del passaggio dalla regina più longeva a Carlo III, gli analisti si stanno già interrogando su quale sarà l’effetto dell’Elisa-exit su un regno che ha ben poco di unito dopo la Brexit. L’Irlanda del Nord coglierà opportunisticamente l’occasione per rientrare dalla finestra nell’Unione Europea ricongiungendosi con il resto dell’isola? La Scozia spingerà ancora una volta l’acceleratore verso l’autonomia? La domanda generale che si pone è se la monarchia sia oggi un anacronistico relitto delle società feudali, oppure una connessione con la tradizione e il passato di una nazione, che apporta esiti complessivamente positivi.

Tailandia, Bhutan, Belgio, Marocco e Arabia Saudita, paesi con culture e storie molto diverse, sono parte degli oltre 40 paesi in cui esiste la monarchia, che può assumere 4 forme diverse. La maggior parte dei regni moderni sono monarchie costituzionali: i monarchi sono considerati i capi di stato con responsabilità pubbliche cerimoniali, mentre l’autorità politica significativa è concessa a un presidente o un primo ministro da una costituzione. L’esempio per antonomasia è il Commonwealth, quindici nazioni sovrane, dove re Carlo III è il monarca regnante e capo di stato in Gran Bretagna. Poi ci sono le monarchie assolute, in cui il monarca è l’autorità finale: Brunei, Eswatini, Oman, Arabia Saudita e Città del Vaticano (anche se in quest’ultimo caso il passaggio non è ereditario ma elettivo). L’esempio più importante è ovviamente il regno saudita, islamico e petrolifero. Qui il re Salman, che controlla il 25% delle riserve di petrolio del pianeta, di cui è il maggior esportatore al mondo, ordina ancora il taglio della testa e l’esposizione dei corpi sezionati al pubblico. In realtà il potere da tempo è nelle mani del figlio, un passaggio non necessariamente rassicurante. Così si apre il recente articolo di Internazionale: “Dopo aver eliminato rivali e dissidenti, il principe ereditario Mohammed bin Salman domina saldamente l’Arabia Saudita ed è al centro della scena internazionale. Ambizioso e senza scrupoli, cosa ne farà del suo potere quasi illimitato?” Tra le forme di governo ci sono, inoltre, la monarchia mista e la monarchia costituzionale federale. La prima ha un un corpo legislativo, ma il monarca conserva gran parte dei suoi poteri (esempi Liechtenstein, Monaco, Qatar e Kuwait). La seconda è una federazione di stati da cui viene selezionato il capo di stato (esempi Malesia ed Emirati Arabi Uniti).

Il lavoro principale e quotidiano di re e regine nella maggior parte dei casi oggi è quello di mantenere e alimentare il supporto popolare, dribblando, creando e superando le ricorrenti crisi reputazionali esposte al pubblico globale dai social network. E ci riescono piuttosto bene. Infatti, secondo un sondaggio Ipsos, il sentimento antimonarchico arriva al massimo al 37% in Spagna o al 23% in Svezia. Al di là della beneficenza, della lotta contro le discriminazioni e il cambiamento climatico, tipiche tematiche reputazionali di stampo regale, ci sono alcuni vantaggi sostanziali ad avere una monarchia nel secolo che sta correndo.

In primo luogo, come sostiene Serge Schmemann, esperto di affari internazionali del New York Times, i monarchi possono elevarsi al di sopra della politica come non può fare un capo di stato eletto, perché rappresentano l’intero paese. La scelta di un profilo politico più alto non può essere influenzata, e in un certo senso può essere tenuta al riparo, dalle tentazioni di guadagni privati, dalle relazioni coi media o dall’appartenenza a un partito politico.

In secondo luogo, e strettamente correlato al punto precedente, c’è che in paesi proni al frazionamento come la Thailandia, l’esistenza di un monarca è spesso l’unica cosa che trattiene il paese dall’orlo della guerra civile. I monarchi sono particolarmente importanti nei paesi multietnici come il Belgio, perché l’istituzione monarchica unisce gruppi etnici diversi e spesso ostili sotto la lealtà condivisa al re, invece che a un gruppo etnico o tribale. Esemplare il disfacimento e la “balcanizzazione” avvenuta dopo la caduta della monarchia austriaca degli Asburgo, con la frantumazione di una nazione molto prospera in almeno 12 stati, con esiti sanguinari non ancora risolti (il Kosovo rimane uno stato conteso).

In terzo luogo, le monarchie impediscono l‘emergere di forme estreme di governo nei loro paesi consolidando la forma di governo. Tutti i leader politici devono servire come primi ministri o ministri del sovrano. Anche se il potere effettivo spetta a questi individui, l’esistenza di un monarca rende difficile modificare radicalmente o totalmente la politica di un paese. La presenza dei re in Cambogia, Giordania e Marocco frena le tendenze peggiori e più estreme dei leader politici o delle fazioni. La monarchia stabilizza anche la forma di governo incoraggiando cambiamenti lenti e incrementali invece di oscillazioni estreme nella natura dei regimi. L’esempio dei cambiamenti di regime correlati con la stagione delle primavere arabe negli stati arabi non monarchici ne è recente testimonianza.

In quarto luogo, le monarchie hanno la gravità e il prestigio per prendere decisioni di ultima istanza, difficili e necessarie, che nessun altro può prendere. Ad esempio, Juan Carlos di Spagna ha assicurato personalmente la transizione del suo paese a una monarchia costituzionale con istituzioni parlamentari e ha respinto un tentativo di colpo di stato militare. Alla fine della seconda guerra mondiale, l’imperatore giapponese Hirohito sfidò il desiderio dei suoi militari di continuare a combattere e sostenne la resa del Giappone, salvando così centinaia di migliaia di vite umane.

Quinto, le monarchie sono depositarie della tradizione e della continuità, un valore riconosciuto soprattutto in tempi di incessanti cambiamenti. Ricordano a un paese ciò che rappresenta e da dove viene, fatti che spesso sono completamente assenti dalla narrazione della politica, soprattutto nell’era dei video su TikTok.

Le tre critiche che rimangono oggi all’istituzione monarchica sono il rischio della deviazione tirannica, il problema della successione incompetente e il suo costo. Nel primo caso, in realtà quasi tutte le monarchie esistenti hanno un insieme di bilanciamenti rappresentati da una cornice democratica o tradizionale, in cui i poteri religiosi, aristocratici, o dei cittadini comuni ne limitano l’autonomia. Nel secondo caso, siamo testimoni diretti di come gli eredi di oggi sono educati dalla nascita per il loro ruolo futuro. Poiché sono letteralmente nati per governare, hanno una formazione pratica e costante su come interagire con le persone, i politici e i media. Il costo di mantenimento materiale delle famiglie reali varia molto. È 10 euro pro-capite in Norvegia e 16 centesimi in Spagna, ma è compensato a volte abbondantemente dalle entrate generate. Una stima suggerisce che la famiglia reale britannica ha generato 3,3 miliardi di euro per l’economia nazionale tra il 2014 e il 2018, con un utile netto di circa 2,4 miliardi di euro. In Belgio, l’utile netto dello stesso periodo è stato valutato a 131 milioni di euro, mentre in Spagna è stato di 83 milioni di euro.

Le monarchie pare abbiano, infine, altri risvolti economici interessanti. Secondo Mauro Guillén, professore di gestione internazionale alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania, le monarchie proteggono meglio i diritti di proprietà individuali. «Quello che ho scoperto è essenzialmente che le monarchie tendono a proteggere i diritti di proprietà nel mondo contemporaneo molto meglio delle repubbliche in generale – e, in particolare, delle dittature. E questo si traduce in una migliore performance economica misurata dal tenore di vita. Quindi, in altre parole, le persone che vivono in paesi che hanno una monarchia tendono a godere di standard di vita più elevati rispetto a quelli delle repubbliche, proprio perché le monarchie proteggono in misura maggiore i diritti di proprietà».

Alla luce dei vantaggi che può portare, non è una sorpresa né un caso che la monarchia rimanga un elemento importante del governo anche democratico e che esista un senso di nostalgia anche laddove il re e la regina non ci sono più.

“La democrazia non può garantire più niente. Un re sì!”, Antonio Albanese, Cetto La Qualunque.

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Pubblicato il 10 Settembre 2022
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