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Se la scuola di Gede sorride, Elina ci sta lavorando

Elina è la persona che si assicura che alla scuola dell'associazione Merisha for Kenya tutti stiano bene e ogni cosa vada per il verso giusto, «Con le donazioni e la collaborazione, qui si possono cambiare le cose»

Elina, la "fatina tuttofare" della scuola di Gede

C’è aria di festa alla scuola di Gede, i bambini sembrano percepire le cose belle e non è certo dal suono sgangherato del tuk tuk. Però a bordo del Salotto arrugginito di Amani, questa mattina ci sono tre ciambelloni panna e cacao: una donazione italiana è stata effettuata espressamente per regalare una merenda speciale ai bambini. Ci ha pensato Shaba, un pasticcere di Watamu che gestisce una squisita caffetteria in centro, sulla strada principale, che di lunedì mattina è un rodeo di mototaxi e tuk tuk, con qualche jeep carica di turisti, in partenza per i safari nel cuore del Kenya.

Elina, la "fatina tuttofare" della scuola di Gede
L’arrivo della merenda alla scuola di Gede a bordo del tuk tuk di Amani

E a completare la festa, sei volontari in più, due da Luino e quattro da Civitavecchia e Roma: tanta pelle bianca da pizzicare e una barba lunga da tirare, quella di Gioiele di passaggio all’inizio della sua vacanza con la compagna di Angera. La gioia dei bimbi si esprime anche giocando con la diversità: e i bianchi laggiù sono i diversi, i pelosi ancor di più, la curiosità accorcia le distanze e si è subito tutti amici.

Elina, la "fatina tuttofare" della scuola di Gede
I volontari arrivati a Gede

Chi manca e chi è già arrivato, prima ancora dell’appello, c’è chi si preoccupa dei bambini: Elina è una fatina tuttofare, in pratica. Che lavoro fa? «Non saprei, faccio molte cose». In sintesi, si preoccupa che tutti stiano bene e che tutto vada bene, a scuola. Ha 42 anni e viene da un villaggio fuori Gede, Jimba, che sarebbe vicinissimo al terreno sul quale dovrebbe iniziare al più presto la costruzione della nuova scuola. «Ho anche due bambini che frequentano qui, la primogenita e terza figlia è più grande, più di vent’anni. Con la nuova scuola, per me sarebbe tutto più comodo perché avrei meno strada da fare». Quando può permetterselo arriva in bajaji (in mototaxi) caricato al limite, ovvero guidatore, lei e le due figlie su un’unica moto. «Altrimenti a piedi: per cui a volte è vicina, a volte è lontana, questa scuola. Quella nuova sarà vicina e basta».

La nuova scuola migliorerà gli orari: Elina, la “fatina”, inizia col ripulire le aule e gli altri spazi a disposizione dei bambini, nonostante la situazione precaria, in convivenza con un deposito di materiale edile. «E prima di tutto c’è il problema dell’acqua, che manca da molti giorni ormai. E bisogna uscire e andare a comprarla». Quando i bidoni gialli arrivano a scuola, Elina si sta già occupando anche del cibo, o meglio, degli ingredienti che serviranno alle cuoche per cucinare la colazione e il pranzo: ogni giorno si cambia, in base a un menù stabilito dagli insegnanti e al budget. Il breakfast è quasi sempre porridge, che è fatto con una farina proteica, una scelta molto economica che garantisce comunque una colazione dignitosa, cosa che i bambini non riescono a permettersi a casa. «Per la farina di polenta o il riso, i fagioli, i pomodori e le altre verdure mi servo alle bancarelle appena fuori da scuola». E quelle kibande sono in genere molto povere, ma si sceglie proprio di acquistare da loro.

Fuori, la strada che conduce a Timboni e poi a Watamu è un alveare di gente indaffarata e gente che aspetta qualcosa, qualcuno, appoggiata ai pali o in sella alle moto. C’è malumore in questo periodo perché anche la corrente elettrica funziona a singhiozzo. Anzi, per i quartieri poveri, in certi orari proprio non funziona, black out totale. E c’è chi se la prende col governo, in molti ce l’hanno con questo presidente che, a loro dire, è nemico della povera gente. Un fatto è certo: i black out continui mettono in difficoltà i ragazzi coi tuk tuk e i mototaxi che non possono ricaricare i cellulari con i quali si procurano il lavoro, tramite le chiamate dai villaggi turistici.

Elina preferisce non commentare, prende atto di quel che non funziona e prova a cambiare le cose: come? Prendendosi cura degli altri, di un bambino che non sta bene, della legna per il fuoco delle cuoche, del materiale scolastico da acquistare. «La nuova scuola, però, ha un senso se ci sarete anche voi, intendo come parte del progetto, con le donazioni e con le collaborazioni. Voi, con il vostro esserci, potete cambiarci le cose davvero in meglio».

La farina della polenta c’è, i fagioli pure, l’acqua potabile è arrivata coi bidoni, i bambini sono felici e giocano: ecco, la giornata inizia bene. Elina si guarda attorno e sorride, senza sedersi mai. Dove non arriva, purtroppo, è nel ripulire la tristezza di tutti, perché tra i bambini della scuola, sono in molti a vivere storie difficili. Alcuni non si esprimono, ma lo capisci da come si comportano: quello che si isola e non parla, quella che cerca il contatto, chiede abbracci e piange. A casa, magari, si vivono storie di violenza, separazione, mancanza d’affetto: il tutto in un contesto di estrema povertà. Senza nulla, o quasi. A spazzare via il marcio dentro, ci riesce solo il gioco, ci riesce quasi sempre.

Tra i bimbi che si appiccicano ai volontari, una è più curiosa degli altri: «Insegnami un gioco che fate in Italia». In questa situazione, bisogna attingere ai giochi antichi: «Do you know “mondo”?». Sembra di no, sono perplessi, ma poi capiscono: sanno giocare benissimo a mondo, ma lo chiamano in altro modo. Le caselle disegnate sul terreno, il sasso da lanciare, e via a saltarci dentro. Immaginando un paese per ogni casella: Kenya, Tanzania. Egitto, Grecia, Italia. Là in fondo c’è l’Italia, raggiungibile col salto più lungo.

A lato, vicino al muro, invece, quattro bambine si sono inventate una specie di “memory” con i tappi a corona schiacciati e trasformati in gettoni colorati. Si salta e si gioca, si tirano calci al pallone e si balla con la musica portata dalle volontarie di Roma, s’inventano collanine con le perline donate da un’altra ragazza italiana. Tutto è più leggero a Gede, sotto la pioggia o quando torna il sole, non fa differenza, perché il bel tempo i bimbi lo custodiscono dentro i loro pensieri.

Elina, la "fatina tuttofare" della scuola di Gede
A Gede il gioco è anche un cerotto per le ferite che si portano dentro

Com’è andata la giornata, Elina? «Bene, se stanno tutti bene, è andata bene». E già sta pensando a come risolvere problemi, quelli di domani.

Per contribuire al progetto: AMANI FOR GEDE – La scuola della speranza – Merisha for Kenya

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Pubblicato il 17 Novembre 2025
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