Quantcast

Amani for Gede: Esther, una seconda madre per cento bambini

Esther è l'insegnante che coordina lo staff della scuola di Merisha for Kenya. Per lei, prendersi cura dei bambini che frequentano le lezioni è una missione

Esther, la seconda madre dei bambini della scuola di Merisha for Kenya

La gioia che galleggia nel vento ha la voce di bambini liberi di giocare insieme. Alla scuola di Gede non esiste il silenzio, l’anno scolastico effettivo è terminato il mese scorso, ma ora c’è il campus estivo, che per i bambini è un’emozione pura, riempita dal loro saper rendere magico anche il nulla. S’impara giocando. E gli insegnanti sono al lavoro per progettare programmi e sviluppo della scuola, che riprenderà a gennaio. Esther sente la responsabilità per un futuro decisivo, ci sono mesi cruciali che l’aspettano: coordina lo staff della scuola, sei colleghi, due cuoche e un’inserviente che, in una scuola tradizionale, sarebbe la bidella.

Eppure Esther ha sempre un che di angelico: già soltanto perché nelle polverose mattinate coi bambini, riesce a mantenere immacolato il suo elegante vestito bianco. E poi, il sorriso: non lo perde mai. Ed è un sorriso materno, sebbene non abbia figli. «Se scegli di insegnare in questa piccola scuola, devi vivere con questi bambini come se fossi una seconda madre. Io la penso così, ed è per questo che ho scelto di fare questo lavoro. Che non è un lavoro come gli altri, è diverso».

Ha 29 anni, Esther, e viene da un villaggio nei dintorni di Gede: «Da dove vengo io, ci sono diversi bambini che frequentano la scuola di Merisha for Kenya ed è un a fortuna per loro. Purtroppo la scuola pubblica sarebbe troppo costosa per le loro famiglie, non potrebbero permettersela».

Esther, la seconda madre dei bambini della scuola di Merisha for Kenya

Vive le sue giornate alla scuola come una missione: «Ho studiato per questo, ho frequentato il college a Mombasa, ma fin da bambina ho sempre voluto fare questo, stare con i bambini, trasmettere loro qualcosa, aiutarli a crescere». I bambini del suo mondo, un pezzetto d’Africa che si sta sviluppando velocemente, ma che sta lasciando indietro e ai margini i più poveri e più deboli.

«La scelta di offrire istruzione e cibo è meravigliosa, questa è una grande cosa che avviene solo con le donazioni dall’Italia di Merisha for Kenya: il sostegno della gente, il vostro sostegno, fa davvero la differenza e non lo dico per fare uno spot». Esther ha scelto questa scuola, ci lavora da cinque anni: «Sono qui e non altrove perché i bambini poveri, quelli dei villaggi da cui provengo anche io, meritano un’opportunità, meritano di fare strada in un futuro che richiede persone istruite, capaci di crescere in questo luogo che sta cambiando».

Lei, come tutti gli altri insegnanti, sono sempre molto impostati, faticano a uscire dal proprio ruolo, difficilmente si lasciano andare, se non quando con i bambini arriva il momento del gioco, che è anche quello un imparare. Con gioia. E basta davvero poco per scatenare la felicità in cortile: una sfida a patata race, per esempio, ovvero una sfida a chi arriva prima tenendo in bocca un cucchiaio che regge mezza patata. Oppure con le esplosive sfide di salto con la corda, o le caotiche partite di calcio.

Esther, la seconda madre dei bambini della scuola di Merisha for Kenya

Esther nel suo essere seconda madre di questi bambini non nasconde le preoccupazioni, che sono anche un segno d’amore per questa scuola che vede crescere ogni giorno: «Siamo purtroppo in una situazione precaria, la nuova scuola, un nuovo edificio che sia dignitoso è urgente».

Merisha for Kenya aveva inizialmente aperto la scuola in una sede in affitto e che sembrava dare buone garanzie: due anni fa, invece, il progetto si è trovato nel mezzo di una vera e propria speculazione e i bambini sono stati sfrattati. Si è così trovato un’alternativa temporanea in alcuni edifici presi in affitto da una parrocchia protestante, ma si condividono gli spazi esterni con un deposito di materiali edili e anche gli spazi interni sono più che spartani. L’ufficiale scolastico ha già espresso forti dubbi sull’idoneità del luogo, ma al momento è l’unica possibilità per questi bambini. La nuova scuola, insomma, non può più aspettare.

«E io confido davvero nella generosità degli amici italiani, sono davvero generosi, nel modo giusto». Esther non parla per spot, davvero, quando parla di “modo giusto”, lo crede davvero poiché, un aspetto molto evidente qui è il rispetto dei bambini che devono essere tutelati anche dalle degenerazioni della solidarietà. A Watamu, se ne vedono parecchi di italiani: molti sono turisti da villaggio “all inclusive” che hanno pochissimi contatti con l’esterno, altri sono ricchi proprietari che sfruttano il meglio di questi luoghi. E la solidarietà che per fortuna c’è, non è tutta uguale: degenera, quando diventa esibizionismo superficiale e con il dilagare dei social succede anche questo in Kenya.

Esther, nel suo vestito bianco, ha ben presente tutto questo e quel che l’aspetta, ma non perde il suo sorriso. In cortile, intanto, i bambini ballano felici. Sì, ballano liberi dopo essersi inventati bonghi e percussioni con i rifiuti del deposito edile (vecchi bidoni e lamiere). Ballano e liberano nell’aria il loro canto di gioia.

Per sostenere il progetto della nuova scuola: AMANI FOR GEDE – La scuola della speranza – Merisha for Kenya

di
Pubblicato il 13 Novembre 2025
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore