“I boschi dello spaccio di Varese organizzati come Gomorra, ci vuole un’Antimafia insubrica“
Giuseppe Battarino, per anni colonna portante del tribunale di Varese come giudice per le indagini preliminari (e pm a Busto Arsizio a inizio carriera) interviene sul tema. "Lavorare sulla domanda, ma anche dare autonomia giudiziaria all’Insubria con una sua Corte d’appello"

Continua a tenere banco tanto nelle aule di giustizia quanto nel dibattito pubblico la
questione legata ai boschi dello spaccio, intere aree, specialmente nel Nord della provincia – ma anche in molte altre “macchie“ di verde che puntellano la provincia di Varese a partire dai confini con la città metropolitana – in mano alla criminalità a cui va aggiunto un aggettivo, “organizzata”.
Dunque, al netto del fatto che oltre all’offerta, vedi i pusher, parte dell’intervento per risolvere il problema andrebbe focalizzato sulla riduzione della domanda, e quindi del consumo, rimane il tema del contrasto delle bande che controllano il territorio.
“Sistema Marocco”, lo abbiamo chiamato: reclutamenti sistematici che partono da una precisa area geografica del Paese nordafricano e che attraverso una vera e propriaturnazione garantiscono manodopera allo spaccio.
Ma quali armi ha la giustizia per contrastare questo fenomeno?
Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Battarino, che da poco ha lasciato la magistratura per darsi all’insegnamento universitario e all’attività di scrittore e saggista, e che è un profondo conoscitore del tema per averlo più volte affrontato.
Qual è la situazione legata al fenomeno dello spaccio nei boschi?
«Posso confrontare le notizie di cronaca con la conoscenza diretta come giudice per le
indagini preliminari di Varese che ho avuto sino a due anni fa. Mi pare che nonostante
l’eccellente lavoro delle forze di polizia di contrasto alla fase finale del commercio illecito, la situazione rimanga più o meno la stessa. Il numero dei consumatori non sembra diminuito ed è questo un elemento su cui bisognerebbe mettere l’attenzione. Insieme alla struttura delle attività di spaccio».
Esiste un’organizzazione?
«In un paio di casi, affrontando le richieste di misure cautelari della Procura di Varese a caricodei piccoli spacciatori dei boschi, avevo rilevato che proprio dalle indagini accuratamente svolte dai Carabinieri emergevano elementi che inducono a pensare che esista un’organizzazione criminale con base a Milano e nell’hinterland, una strutturata associazione per delinquere, che avrebbe dovuto essere indagata, come il codice di procedura prescrive, dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano, eventualmente in collaborazione con Varese e altre Procure».
Un’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, ma organizzata come?
«Capi e promotori italiani e stranieri, insediati in altre città, con funzioni di reclutamento, gestione dei flussi finanziari destinati all’acquisto delle sostanze e guadagnati con le cessioni, approvvigionamento dell’intera quantità delle sostanze stupefacenti destinate al mercato di Varese e di altri circondari; gestori dei “boschi di spaccio” con funzioni organizzative locali, e infine spacciatori finali, reclutati in altre città italiane o direttamente all’estero, organizzati in “squadre”, con possibilità di costante sostituzione o rotazione.
Diciamo che nei miei provvedimenti definivo la situazione del tutto simile a quella delle
“piazze di spaccio” gestite dalla criminalità organizzata, italiana e straniera, in alcune grandi città».
Qual è stata allora la difficoltà nelle indagini?
«Era proseguita, come prosegue tuttora, l’attività di contrasto locale ma, almeno allora, a Milano non mi pare ci sia stato un seguito».
Cosa servirebbe per rendere più efficace l’attività di repressione?
«Rispondo con un paradosso: per razionalizzare la repressione bisogna investire sulla
prevenzione. Qualche giorno fa ero diretto a Tradate attraverso il Parco pineta: ho incrociato un’auto ferma ai margini della strada, con a bordo una ragazzo e una ragazza, rendendomi conto solo dopo averli superati che stavano contrattando un acquisto con un loro coetaneo uscito dal bosco. Tre ventenni “normali”, indistinguibili (compreso lo spacciatore) per aspetto da qualsiasi altro ventenne. Allora forse famiglie, scuola, organi pubblici dovrebbero attribuirsi il compito di dire in maniera convincente a quei ragazzi che non è “normale”bruciare neuroni con le droghe, o con l’alcol, o con il gioco compulsivo, o con la dipendenzada smartphone. Sono, semplicemente, idiozie che si pagano care sulla propria pelle. Sugli stupefacenti la repressione penale dovrebbe essere mirata e razionale, non enfatizzata come unica risposta: consapevoli che può arrivare solo dopo e a danno già fatto sui nostri giovani».
E per quanto riguarda le leggi?
«In generale la mia esperienza, come quella della maggior parte dei giuristi, dice che
continuare a inserire nuovi reati e nuove aggravanti non serve a niente. Altra cosa sono
piccoli aggiustamenti mirati sulle leggi esistenti. Già nel maggio 2023, ad esempio, l’onorevole Pellicini, a partire dalla specificità delle situazioni di cui parliamo, ha proposto una semplice e sintetica modifica dell’applicazione delle attenuanti, su cui sarebbe molto interessante discutere: peccato che una certa “prepotenza governativa” sui lavori parlamentari in materia di giustizia e sicurezza lo abbia sinora impedito».
Torniamo alla questione del rapporto con Milano sul piano giudiziario
«Vuol dire per me tornare a una proposta formulata esattamente venticinque anni fa. Quella di dare autonomia giudiziaria all’Insubria con una sua Corte d’appello: che avrebbe voluto dire avvicinare ai nostri territori la Direzione distrettuale antimafia, a fronte di fenomeni criminali strutturati, il Tribunale per i minorenni, per rispondere alle difficoltà delle persone, il Tribunale di sorveglianza, per gestire una popolazione di detenuti e di persone sottoposte a misure alternative numerosa e complessa, il secondo grado di giudizio per evitare le lungaggini milanesi. Ci fu grande interesse nel mondo giudiziario e in quello politico locale e regionale. Il Ministero della giustizia non diede seguito alla proposta. Credo che siano molti gli ambiti in cui un livello di governo “insubre” sarebbe da immaginare».
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