28 maggio 1974: cinquant’anni fa la bomba fascista a piazza della Loggia a Brescia
L'attentato del gruppo Ordine Nuovo colpì una manifestazione contro le bombe che toccavano mezza Italia. Otto le vittime: erano operai e insegnanti, in piazza per difendere la democrazia
Brescia 28 maggio 1974.
Alle 10.12, durante un comizio contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista, scoppia una bomba nascosta in un cestino portarifiuti a piazza della Loggia: l’attentato costò la vita a otto persone e il ferimento di altre duecento.
Le indagini hanno dimostrato che l’attentato fu realizzato dai membri del gruppo neofascista Ordine Nuovo, lo stesso protagonista delle bombe del 1969, la più letale delle quali fu quella di piazza Fontana a Milano.
I processi hanno individuato e condannato come esecutori materiali Maurizio Tramonte (collaboratore del SID, il servizio segreto militare), Carlo Digilio e Marcello Soffiati; come mandante è stato condannato Carlo Maria Maggi, massimo dirigente di Ordine Nuovo nel Triveneto insieme a Delfo Zorzi. Maggi – medico a Venezia – è morto nella sua casa.
Quel 28 maggio 1974 nella principale piazza della città era in programma una manifestazione contro la serie di bombe che stava colpendo l’Italia (una aveva già provocato tra l’altro una vittima a Varese).
Era una vera strategia, che puntava a una svolta reazionaria, per limitare le rivendicazioni di diritti del lavoro e civili, la cui ultima tappa – pochi giorni prima di Brescia, il 12 maggio – era stata la conferma del diritto al divorzio, con un combattuto referendum.
Una città democratica bersaglio degli attentatori
La scelta dell’obbiettivo non fu casuale.
Brescia era allora un centro di grande attivismo, con un forte movimento dei lavoratori, sia d’ispirazione socialista e comunista sia legato alla forte anima cattolica della città: quel 28 maggio in piazza intervenivano ad esempio un parlamentare del PCI, Adelio Terraroli, e un sindacalista del sindacato cattolico Cisl, Franco Castrezzati.
Proprio quest’ultimo stava parlando del ruolo dell’Msi quando la bomba esplose. È di Castrezzati la voce che invita alla calma, dopo che un’altra voce ha detto “una bomba”:
Insegnanti e operai: le vittime
La bomba esplosero in una zona in cui si trovava un gruppo di giovani insegnanti, molti amici anche nella vita. Sul posto o in ospedale morirono Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, insegnante di francese; Livia Bottardi in Milani, 32 anni, insegnante di lettere alle medie (il marito Manlio, per anni, è stato presidente del comitato delle vittime); Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante di fisica; Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni, insegnante; Luigi Pinto, 25 anni, insegnante, il più giovane; Euplo Natali, 69 anni, pensionato, ex partigiano, il più anziano; Bartolomeo Talenti, 56 anni, operaio.
Nel pilastro della loggia ancora oggi è presente l’incavo scavato dall’esplosione del 28 maggio 1974Due settimane dopo la strage morì anche uno dei feriti: Vittorio Zambarda aveva 60 anni e si trovava a Brescia per le pratiche della pensione all’Inps, gli uffici erano chiusi per lo sciopero e decise di unirsi alla manifestazione, come del resto fece anche un’altra vittima, Talenti.
Nessun mistero sugli autori
Anche se continua a sopravvivere l’idea dei misteri inestricabili, la responsabilità giudiziaria e storica è stata ricostruita in modo certo: «La verità sulle grandi stragi è scomoda per questa matrice di estrema destra che gli eredi del mondo politico della destra degli anni Sessanta-Settanta si rifiuta di riconoscere. E poi la verità ancora più scomoda dei depistaggi sistematicamente portati avanti ad alti livelli da pezzi dello Stato», ha detto Benedetta Tobagi, giornalista, scrittrice e figlia di una vittima del terrorismo di una formazione di estrema sinistra.
Se infatti il terrorismo di estrema sinistra colpiva singole persone (magistrati, politici, uomini delle forze dell’ordine), quello fascista colpiva in modo indiscriminato. Così che di volta in volta le vittime erano agricoltori – come in piazza Fontana – insegnanti e operai – come a Brescia – viaggiatori di ogni genere – come sull’Italicus nel ’74, a Bologna nel 1980.
Le bombe del 1974
In termini di morti la bomba di piazza della Loggia fu il secondo, più grave attentato del 1974, un anno funestato da molti ordigni. Per diversi è stata dimostrata la matrice fascista, in altri casi le indagini e la ricostruzione storica non hanno consentito di individuare in modo certo gli autori.
Il 28 marzo una mano rimasta ignota piazza una bomba al mercato di Varese: l’esplosione – innescata da un innesco a strappo, non a tempo – uccide un fioraio e ferisce gravemente la moglie, rimasta invalida. Si ipotizzò una matrice fascista o una pista personale (ma non c’erano motivi per avercela con dei fiorai) ma non è mai stato individuato alcun responsabile.
Il giorno della bomba a Varese, che uccise il fioraio Brusa. “Non eravamo nessuno”
Il 27 aprile esplode un ordigno alla scuola magistrale di lingua slovena a Trieste (una scuola elementare per bambini della minoranza slovena era stata bersaglio già nel 1969, due mesi prima di piazza Fontana). Attentato progettato dal gruppo neofascista del Nord-Est di Ordine Nuovo.
Il 30 aprile scoppia la prima delle bombe di Savona: dodici esplosioni tra la primavera 1974 e il febbraio ’75, una vittima- un’anziana signora – a novembre.
Il 19 maggio 1974 in via IV Novembre a Brescia salta in aria il neofascista Silvio Ferrari, ucciso dall’ordigno che stava trasportando sulla sua Vespa, destinato a colpire la sede della Cisl. Un antefatto che preoccupò molti a Brescia e che spinse appunto alla convocazione della manifestazione del 28.
Il 4 agosto un’altra strage riuscita, nei progetti di chi alimentava la tensione: tra le gallerie dell’Appennino esplode una bomba sul treno espresso “Italicus”, le vittime sono dodici.
L’anno viene scandito poi da tanti altri episodi “minori”, emuli anche locali degli stragisti.
Il 2 settembre 1974 viene ritrovata una bomba anche alla centrale Enel di Vizzola Ticino, che forniva energia alla città di Milano e alle Fs, mentre due giorni dopo al Coin di Varese viene trovata una bomba a mano, un ordigno (a basso potenziale, va detto, ma comunque potenzialmente letale) lasciato tra i banchi con il biglietto: “Questo è l’ultimo avvertimento, è ora di finirla, W il Dux”.
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