Case di comunità, il bilancio di Astuti è deludente: “Solo due a norma in provincia di Varese”
Il consigliere regionale PD: “Sono fondamentali per cambiare verso alla sanità lombarda, ma servono più servizi e personale”

Le Case di Comunità dovevano essere il pilastro della sanità territoriale in Lombardia, ma oggi, a tre anni dalla loro nascita e a un anno e mezzo dalla fine della fase di avvio, si trovano in una fase di realizzazione ancora incerta. A fare il punto della situazione è Samuele Astuti, consigliere regionale del Partito Democratico e membro della Commissione Sanità, che nei mesi scorsi ha visitato personalmente molte di queste strutture sul territorio lombardo, con particolare attenzione alla provincia di Varese.
Tra metà febbraio e metà maggio, Astuti ha preso parte a un sopralluogo capillare che l’ha portato in tutte le case di comunità attive in provincia. I dati raccolti dal consigliere regionale mostrano un quadro fatto di luci e ombre, con solo 10 strutture in Lombardia su 216 che rientrano pienamente i parametri previsti: «In totale provincia di Varese – continua Astuti – le case di comunità previste sarebbero 20, ne risultano al momento attivate 12 e, di queste, solo Arcisate e Saronno rispettano i requisiti minimi previsti dal decreto ministeriale».
Tra le realtà più virtuose in provincia, Astuti cita Arcisate e Saronno, che offrono tutti i servizi previsti. Positivo anche l’hub già aperto di Busto Arsizio, piccolo ma progettato in modo intelligente. E Sesto Calende, pur con criticità, «presenta peculiarità interessanti».
Una grande idea, ma ancora sulla carta
Per Astuti, le Case di Comunità sono «Uno degli elementi indispensabili per cambiare verso alla sanità lombarda», ma ad oggi i servizi sono ancora troppo parziali. «Le persone iniziano ad andarci, ma spesso non trovano ciò di cui hanno bisogno. Così si rischia la disaffezione».
Uno degli aspetti positivi rilevati da Astuti è la presenza del servizio di psicologia delle cure primarie, un servizio nuovo e ancora poco conosciuto ma considerato strategico. Le criticità però non mancano. «In diverse case di comunità gli strumenti diagnostici non mancano, ma non vengono utilizzati per mancanza di personale o di tempo. Alcune Case di Comunità non hanno nemmeno il punto prelievi, o l’infermiere disponibile h24». Secondo i dati forniti da Astuti, a livello regionale infatti solo 1 casa su 3 è aperta 24 ore su 24; solo 1 casa su 5 ha un medico presente h24; meno di 1 struttura su 5 dispone di un infermiere h24; 1 su 3 non ha nemmeno un punto prelievi.
«Il vero problema è che la Lombardia continua a soffrire per la mancanza di medici di medicina generale, poco valorizzati e non sostituiti – spiega Astuti – E a questo si aggiungono problemi ormai strutturali, che ormai conoscono tutti: lunghe liste d’attesa, pronto soccorso sovraffollati, spesa privata in crescita. Il 41% dei cittadini rinuncia alle cure pubbliche e si rivolge al privato».

Il nodo delle risorse (e del tempo)
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha messo a disposizione fondi importanti: dei circa 15 miliardi per la sanità, oltre 7 sono destinati al potenziamento della rete territoriale. Tuttavia, a un anno e mezzo dalla fine della finestra temporale di attuazione, la Regione è ancora molto indietro: «L’obiettivo è arrivare ad almeno 200 Case di Comunità con i servizi previsti garantiti, oggi sono solo dieci – avverte Astuti – Se non si riesce entro i tempi del PNRR, per completare iol progetto bisognerà usare risorse proprie».
«La Costituzione garantisce il diritto alla salute per tutti, ma oggi questo è messo in crisi da un sistema ancora troppo incentrato sugli ospedali – conclude Astuti – Le Case di Comunità rappresentano una risposta concreta e moderna: ma per metterle davvero in pratica servono chiarezza, risorse umane e volontà politica. Serve un’accelerazione immediata per garantire una sanità territoriale che funzioni davvero, che ascolti i cittadini e che sia un presidio di equità e accesso alle cure per tutti. Noi continueremo a vigilare e a sollecitare la giunta lombarda perché il progetto non si fermi a metà strada e perché la sanità territoriale diventi davvero un presidio di equità e accesso alle cure per tutti. Non si può continuare a scaricare le responsabilità sui direttori generali, ma è necessario capire che il problema risiede nella base del sistema. Un sistema da riformare, se vogliamo riconquistare quel primato che la Lombardia ha purtroppo smarrito da tempo, rimettendo mano alle norme, alla regolazione e alla pianificazione che governano la nostra regione».
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