Indonesia, dove la gentilezza è una forma del mondo
Un viaggio dentro l’arcipelago più sorprendente del pianeta, tra sincretismi religiosi, culture antiche e città che reinventano il futuro. Annalisa Monfreda lo racconta il 20 ottobre a Materia insieme ad Annie Francisca

“Mi sono convinta che la cura della forma, in Indonesia, abbia finito per forgiare un popolo che ha la gentilezza come modalità base di relazionarsi al mondo. La forma qui non è una palestra di ipocrisia ma di pazienza e tolleranza.”
È da questa frase di Annalisa Monfreda che comincia ogni viaggio dentro l’Indonesia. Perché qui nulla è solo ciò che appare. Dietro le cartoline di spiagge bianchissime e tramonti perfetti, dietro le promesse di esotismo e spiritualità, c’è un Paese che non smette di sorprendere e di insegnare.
Un arcipelago sconfinato – oltre 13.000 isole, forse 17.000 – che non è mai stato davvero una nazione, ma un mosaico di regni, culture e religioni intrecciate. Un Paese che ospita la più grande moschea del Sudest asiatico di fronte a una cattedrale cristiana, e dove Buddha e Shiva possono trovarsi fianco a fianco nello stesso tempio.
Per Annalisa Monfreda, giornalista e scrittrice che racconterà questo viaggio a Materia il 20 ottobre alle 21, conoscere l’Indonesia significa disimparare ciò che crediamo di sapere e lasciarsi sorprendere da una realtà che sfugge alle definizioni. Questo articolo è stato preso da numerosi post che la protagonista dell’incontro ha scritto sul suo account Facebook.

L’arcipelago dell’inatteso
Il viaggio comincia a Giacarta, città dal nome esotico ma dal volto familiare: il traffico è il vero battito urbano, e per molti diventa addirittura un lavoro. Nelle sue strade congestionate si incrociano storie di sopravvivenza e modernità, mentre il passato coloniale riaffiora tra le facciate immacolate di Kota Tua e l’ombra della malaria che per secoli ha tenuto lontani gli indigeni.
Eppure anche qui, sotto la superficie del caos, si coglie la fragilità di un luogo che affonda lentamente sotto il peso del tempo e del mare, spostando altrove la capitale ma non la sua anima.
Poi l’Indonesia cambia volto. Navigando tra le isole dell’arcipelago di Komodo, ci si ritrova davanti a draghi che sono varani giganti, a paesaggi che sembrano usciti da Tolkien e a un turismo di massa che costringe a cercare altrove l’autenticità.
Sull’isola di Flores, invece, il tempo sembra rallentare. I villaggi Manggarai resistono alla “normalizzazione” imposta dalla dittatura di Suharto e conservano i loro rituali antichi, dai sistemi di distribuzione della terra a ragnatela ai capi che ancora oggi dirimono i conflitti prima che arrivino alla legge.
Dove passato e futuro si parlano
L’Indonesia è un laboratorio di convivenze impossibili. Nelle sue città, come Surabaya, il collettivismo tradizionale incontra la modernità più avanzata: le garbage banks trasformano la raccolta differenziata in reddito e le persone cominciano a raccogliere immondizia lungo i fiumi per guadagnare e migliorare il proprio quartiere.
Nelle montagne del Dieng Plateau, i festival mescolano teatro tradizionale e pop star contemporanee, dimostrando come passato e presente non si escludano, ma si alimentino a vicenda.
E se nelle strade di Yogyakarta si discute del futuro di un sultanato senza eredi maschi, nei mercati e nelle cucine il Paese continua a reinventarsi. Ogni tribù porta il proprio piatto oltre il mare, creando una geografia gastronomica che unisce l’arcipelago più della politica e della storia.
La lezione dell’Indonesia
Viaggiare in Indonesia significa imparare a tenere insieme i contrasti: il turismo di massa e i rituali ancestrali, le metropoli futuristiche e i villaggi che vivono ancora nel passato, il sincretismo religioso e le tentazioni della radicalizzazione.
Significa accettare che la diversità non è un ostacolo ma una ricchezza, e che la gentilezza — quella vera, profonda, strutturale — può diventare una forma politica, un modo di abitare il mondo.
Il 20 ottobre a Materia, Annalisa Monfreda e Annie Francisca ci accompagneranno in questo viaggio dentro l’Indonesia invisibile: un arcipelago dove tutto cambia e nulla si perde, dove la forma non è mai vuota, e dove la gentilezza non è un gesto ma una scelta collettiva.