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La ‘ndrangheta e le donne. All’Itep Galilei di Laveno le parole del pm Alessandra Cerreti

Il magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Milano ha raccontato le indagini condotte contro l'organizzazione e, in particolare, quelle che hanno portato alcune donne a collaborare con lo Stato

ITEP Galileo Galilei Laveno

Si è tenuto all’ITEP Galileo Galilei di Laveno Mombello l’evento dal titolo “Racconti di ‘Ndrangheta: tra economia e intrecci familiari, che ha ospitato l’intervento di Alessandra Cerreti, pubblico ministero presso la Direzione distrettuale antimafia di Milano, interloquire con le autorità e soprattutto rispondere alle domande degli studenti delle scuole medie e superiori della zona.

Il tema della ‘ndrangheta rientra nella lotta alla criminalità organizzata, anti-Stato.  L’esperienza di Alessandra Cerreti si concentra tra Reggio Calabria e Milano,  indagando, in modo particolare, sul ruolo della donna nella criminalità organizzata.

Il magistrato ha fatto un excursus storico sulla presenza di questa organizzazione: «Ricordiamo i sequestri di persona (molti dei quali effettuati in Lombardia), quando le famiglie pagavano dei riscatti per rivedere i propri cari – esordisce Cerreti – . Ora quel business non esiste più e la droga si è rivelata una delle maggiori finti di reddito dell’organizzazione con il porto di Gioia Tauro come luogo privilegiato per lo smistamento di cocaina. Lì passano circa 1000 chili di polvere bianca a settimana».

La ‘ndrangheta ha accumulato enormi capitali grazie alla droga e deve trovare il modo di riciclare i propri soldi. La lombardia si è rivelata interessante per i mafiosi. Dopo aver sottolineato le diverse strutture delle mafie nel nostro Paese, la Cerreti si è soffermata sulla ‘ndrangheta, dove la cosca mafiosa coincide con la famiglia naturale e dove la donna non conta nulla e viene trattata come nel medioevo, al punto che le viene scelto anche il marito. Questi legami famigliari e di sangue vengono trasmessi alle generazioni successive e spesso è la mamma che insegna ai figli a diventare mafiosi sin da piccoli «anche attraverso i canti di ‘ndrangheta, canzoni che inneggiano alla mafia e che parlano di coltelli e pistole per vendicarsi, promuovendo un’idea di violenza e morte. Le donne sono capaci di uccidere mariti, figli e sanno essere spietate, più cattive degli uomini».

«Le donne, nelle famiglie di ‘ndrangheta, spesso si ritrovano a fare da messaggere tra i parenti detenuti e gli affiliati all’esterno, le così dette “ambasciate mafiose”. La loro è una partecipazione all’attività mafiosa vera e propria – continua Cerreti -. A volte si rivelavano pericolose, violente. Altre donne, invece, mostrano la volontà di scappare con i figli piccoli. La regola della ‘Ndrangheta è che se una donna tradisce va uccisa». La magistrata ha raccontato la storia della prima donna di ‘ndrangheta che ha deciso di collaborare. Si tratta di Giuseppina Pesce, che ha visto nella collaborazione l’unico modo per rendere liberi i suoi figli chiedendo aiuto allo Stato. Per questo ha fornito dichiarazioni contro sua madre, suo padre, i fratelli e le sorelle.

La pm ha raccontato che quella di Pesce è una storia a lieto fine, ma «non dimentichiamoci che la ‘ndrangheta uccide le donne in maniera cruenta, simulandone il suicidio con l’acido muriatico. Per far fronte a queste tragedie è stato creato il protocollo “Liberi di scegliere”, per aiutare le donne e i bambini della mafia a lasciare questa strada e grazie ad esso, dal 2012, 80 persone sono state tolte dalla criminalità organizzata».

Ma cosa possiamo fare, noi? Il consiglio di Cerreti, prendendo atto del fatto che la mafia sta contaminando anche il nostro territorio, «è quello di non stringere certe mani. A Reggio Calabria i clan pensavano che se la gente si ribellava loro sarebbero finiti. Poco tempo fa a Busto Arsizio 5 vigliacchi in branco hanno ammazzato di botte un anziano e il capo locale della ‘ndrangheta si è arrabbiato per la brutta figura che fa se si perde il consenso sociale».

Da tener presente per i giovani molto bene il traffico di droga: se compro uno spinello da 5 euro stiamo finanziando la mafia. Le mafie prosperano, generalmente, dove lo Stato è più carente. Ma anche al nord, dove lo Stato è presente, i cittadini cercano la mafia: «Ci sono imprenditori che pagano e vogliono l’appoggio dei mafiosi. Il nord ha spalancato le porte alle mafie e in tanti anni solo un imprenditore ha denunciato un mafioso, circa due anni fa, perché gli aveva imposto di aprire un parcheggio in zona Malpensa insieme a lui. Quando ha rifiutato, ha subito minacce e intimidazioni come l’uccisione del suo cane e colpi di arma da fuoco fuori casa – racconta la PM -. E alla fine l’imprenditore non ha aperto il parcheggio».

Il magistrato, infine, ha sottolineato che le mafie italiane più importanti attualmente sono il Calabria e in Lombardia e che il livello medio di istruzione del mafioso non è basso: «Le nuove leve sono anche medici, avvocati, laureati in Bocconi».

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Pubblicato il 06 Marzo 2024
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