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Lo stress degli studenti in Italia. Un confronto con altri Paesi europei: butta via il cellulare, diminuisci l’ansia

La rubrica settimanale "Il prof tra i banchi", curata da Alberto Introini, tratta argomenti di scuola, didattica e formazione, commentando le notizie di attualità che si susseguiranno nel corso delle settimane

Generico 17 Apr 2023

In questo anno scolastico, ben 56 alunni non ce l’hanno fatta a reggere i ritmi del Liceo Berchet a Milano e hanno cambiato istituto. Un recente sondaggio, riportato da Il Sole 24ore e svolto su un campione di 1.200 studenti delle scuole superiori, ha rilanciato l’argomento stress scolastico. Il 74% ha risposto di aver seriamente considerato di abbandonare gli studi dopo le scuole medie; per quali ragioni? La seconda più indicata (25%) è stata la perdita di interesse verso le materie; al primo posto, invece, c’è appunto lo stress eccessivo causato da compiti e interrogazioni: lo ha dichiarato quasi uno studente su due (46%).

Secondo poi l’OMS, nel suo quadriennale rapporto sulla salute e il benessere degli alunni europei, quelli italiani risultano tra i più stressati dalla scuola e tra i meno soddisfatti del sistema didattico. Può essere che il sistema scolastico italiano sia troppo esigente e stressante? In realtà, se confrontato con quello di altri Paesi, parrebbe di no.

Svizzera e Germania
Paragono l’Italia con due realtà estere vicine, che conosco bene per esperienza diretta: Svizzera e Germania. In queste Nazioni vigono dei parametri più stringenti, e quindi potenzialmente più stressanti, rispetto a quanto previsto dal nostro sistema scolastico.

Svizzera: a 14 anni, se non si ha la media globale dei voti pari a 7.5 – e se non si ha il voto almeno di 7 in tre materie fondamentali (in Canton Ticino, italiano-matematica-tedesco) – si è automaticamente esclusi dai licei pubblici. All’Università, poi, se si viene bocciati per una seconda volta allo stesso esame, si è costretti a cambiare sede o facoltà.

Germania: un minimo di selezione inizia già al termine delle elementari (che durano 4 anni); ogni bambino riceve un Empfehlungsschreiben, ovvero una lettera in cui si indica e si raccomanda quale percorso seguire. Due le strade: o la Realschule, che durerà fino ai 16 anni e aprirà al mondo della formazione professionale e del lavoro; oppure il Gymnasium, che comporterà 9 anni di studi ed è l’unico modo per proseguire all’università. Poi, per alcune facoltà impegnative – come Medicina ad esempio – l’accesso è riservato solo a chi ha ottenuto un voto molto alto alla maturità (1.3, corrispondente al nostro 95 su 100).

Metti via il cellulare e studierai meglio
Vanno quindi considerate altre motivazioni, esterne alla scuola, per spiegare lo stress studentesco da noi. In Italia, l’85% di chi ha tra gli 11 e i 17 anni usa quotidianamente lo smartphone; la maggior parte trascorre dalle 3 alle 6 ore al giorno con cellulari o tablet connessi! Cioè circa 2 ore sui social (soprattutto Instagram e Tik tok), altrettante su YouTube e WhatsApp, oltre a un numero variabile di minuti per i videogame. Il 22% degli adolescenti è in un’area critica di “elevato rischio” da dipendenza e rapporto patologico con gli strumenti elettronici.

In base a queste statistiche nazionali, la Società Italiana di Pediatria – già da almeno 3 anni – lancia un allarme sulle conseguenze di quest’uso smodato: i ragazzi che trascorrono troppe ore davanti a uno schermo (oltre a ridurre l’attività sportiva e avere difficoltà nelle relazioni sociali reali), perdono ore preziose di sonno, hanno più difficoltà nella concentrazione, indeboliscono la capacità di approfondimento cognitivo. Che, a ben notare, sono tutti potenziali fattori che si ripercuotono negativamente sulla situazione scolastica.

E nel resto d’Europa? L’utilizzo degli smartphone, espresso in numero di ore al giorno, in molti Paesi è inferiore mediamente del 40% rispetto all’Italia. I giovani in Austria, Belgio, Francia, Germania e Svizzera stanno connessi molto meno tempo degli italiani. Si direbbe che “cazzeggiano” di meno. Lo si può riscontrare facilmente anche quando si viaggia in treno: in quei Paesi, molte più persone leggono un libro al posto che controllare notifiche e stories al cellulare.

Non arrivo a dire che gli studenti italiani siano pigri e svogliati, né che siano “choosy” (comodi e schizzinosi) come li etichettò il Ministro Elsa Fornero anni fa. Faccio solo notare che l’etimologia latina del termine “studiare” significa “applicarsi”, “dedicarsi”. Gli studenti italiani, soprattutto nei licei, anziché accusare la scuola per le troppe verifiche-interrogazioni o per i compiti eccessivi, provino a concentrarsi più seriamente sui libri, a dedicarsi esclusivamente allo studio per un paio d’ore al giorno.

Per ridurre l’ansia, una delle migliori strategie è prepararsi bene per le prove. Prima i nostri giovani comprendono l’importanza del sacrificio e del merito, meglio è per il loro futuro. Che piaccia o no, il mondo globalizzato (che li attende fuori da scuola e dopo gli studi) va veloce ed è competitivo.


Alberto Introini, dopo aver insegnato in vari licei della provincia di Varese, dal 2008 è docente di Italiano e Storia presso l’Istituto Elvetico di Lugano (Svizzera). Ha due lauree, in Lettere-Filosofia (2002, Università Statale di Milano) e in Storia (2022, Università di Zugo, Svizzera). Iscritto dal 2004 all’Ordine dei Giornalisti di Milano, ha pubblicato 4 libri. Partecipa come relatore o moderatore a diversi eventi culturali nel nord Italia. La sua rubrica settimanale “Il prof tra i banchi” tratterà argomenti di scuola, didattica e formazione, commentando le notizie di attualità che si susseguiranno nel corso delle settimane.

(foto Pexels)

Prof. Alberto Introini
Docente e scrittore
@intro.prof

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Pubblicato il 20 Aprile 2023
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