Quella dello Spi Cgil non è una provocazione, ma una proposta concreta: destinare i soldi recuperati dall’evasione fiscale ai comuni di appartenenza per finanziare il welfare. «Una forma di federalismo indiretto, visto che quello tanto sbandierato qui al nord non solo non ha funzionato ma ha finito per penalizzare i comuni» dice il segretario nazionale Ivan Pedretti. A giudicare dalla quantità degli interventi e dalla partecipazione al convegno, organizzato dalla segreteria provinciale dello Spi Cgil al collegio De Filippi, l’idea di partire da una ricerca, commissionata all’associazione Ires ("Lucia Morosini"), sul tema dell’evasione è stata azzeccata. I dati presentati dal ricercatore Francesco Montemurro confermano quanto già si sapeva sulla dimensione nazionale del fenomeno: in Italia, secondo l’ultimo dato fornito dall’Agenzia delle Entrate, si stima che l’evasione oscilli tra i 215 e i 248 miliardi di euro (il 16,4% del Pil). Il fenomeno dell’evasione ha radici storiche, ma è stata la pressione fiscale degli ultimi decenni ad averlo trasformato in una vera emergenza, soprattutto per i comuni. Una parte della ricerca, infatti, analizza il rapporto tra evasione fiscale e bilanci comunali con la relativa percentuale di risorse destinate al welfare. Tra il 2010 e il 2012 la spesa per il welfare in provincia di Varese ha avuto un andamento decrescente (-3,8%) più marcato rispetto all’andamento regionale (-0,9%).
Varese, nella classifica dei territori a rischio evasione, si colloca in una posizione intermedia (indice di rischio 4) in quanto i consumi sono coerenti con il vincolo di bilancio del redddito dichiarato. Mentre province come Brescia , Mantova, Sondrio, Bergamo e Pavia hanno indici di rischio più elevati determinati dalla presenza prevalente di settori economici dove l’evasione è più alta, come l’agricoltura, l’edilizia e il turismo.
Se si passa all’analisi dei singoli comuni, in provincia di Varese sono almeno dieci, su 141, quelli esposti al massimo rischio di evasione, ovvero classe. La ricerca però specifica che in questa classifica bisogna tener conto di una variabile: i lavoratori frontalieri che prestano la loro opera in Svizzera i quali non essendo soggetti alla doppia tassazione incidono sul dato negativo generale. Ecco perché ai primi 9 posti della classifica ci siano per lo più paesi collocati sulla fascia di confine, soprattutto della Valceresio e della Valmarchirolo. Depurata dal dato dei frontalieri, la lista dei paesi a maggior rischio evasione cambia. In pole position troviamo Luino, Malnate, Cassano Magnago, Somma Lombardo, Fagnano Olona e Samarate, comuni con un indice di rischio compreso tra 1 e 4.
Il
direttore dell’Agenzia delle entrate, che ha condiviso la metodologia della ricerca, definisce «
delinquenti» gli evasori, soprattutto perché in questo modo privano gli altri cittadini di una parte importante di servizi potenzialmente finaziabili con il mancato gettito. «Quello che non vogliamo fare – sottolinea
Umberto Colombo (foto), segretario dello
Spi Cgil – è trasformare una proposta in una caccia alle streghe e tantomeno vogliamo innescare un meccanismo di invidia sociale. È una risposta concreta al taglio drastico delle risorse agli enti locali che li ha costretti a ridurre gli interventi sociali».
Ventotto comuni hanno già realizzato patti antievasione e 12, tra sindaci e assessori, erano presenti al De Filippi per testimoniare le loro difficoltà. «Durante la negoziazione sociale – conclude Carolina Perfetti della segreteria Spi Cgil – abbiamo incontrato 65 sindaci: il 60% ha condiviso la nostra proposta e una buona parte ha stipulato patti antievasione con l’Agenzia delle entrate».
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