Facebook è virtuale i suoi licenziamenti no
La società di Mark Zuckerberg fino a un anno fa valeva un trilione di dollari, cioè mille miliardi. Dopo lo scandalo di Cambridge analytica e il rafforzamento delle leggi sulla privacy il vento è cambiato e anche "Faccia di libro" taglia i costi del personale
Un anno fa Facebook valeva l’astronomica cifra di 1 trilione di dollari, cioè mille miliardi. Detto in altro modo, ognuno dei circa 3 miliardi di utenti attivi valeva 33 dollari per il Paperon de’ Paperoni dei social. Pochi mesi dopo, respirando l’aria estremamente rarefatta a quell’altezza, Mark Zuckerberg tirò fuori dalla manica della sua t-shirt (con tutti quei soldi possibile che uno vada sempre in giro in maglietta, scarpe da tennis e jeans?, che spreco!), l’asso del Metaverso, un universo parallelo in cui creare esperienze tridimensionali, uniche e immersive, magari con gli occhiali di realtà virtuale e aumentata di Leonardo Del Vecchio, uno dei pochi con cui si è incontrato nell’ultimo giro in Italia, giusto in tempo prima che il patron di Exillor-Luxottica, ci salutasse definitivamente.
Avanti veloce fino ai giorni nostri e ci ritroviamo in un altro film. In meno di un anno il valore delle azioni di Facebook, ribattezzata Meta (non sembra che porti bene), sono crollate a un terzo, da 380 a 130 dollari per azione, con il valore evaporato equivalente a quello di tutta la capitalizzazione della Borsa Italiana.
I PIRATI DELLA PRIVACY
Cosa è successo? Come ha fatto a perdere il controllo dell’algoritmo una società che è cresciuta dalla sua nascita a doppia cifra ogni trimestre? Eh, appunto l’algoritmo!
Vi ricordate lo scandalo Cambridge Analytica? Anche se il quotidiano inglese The Guardian (nome allusivo rilevante) aveva già lanciato il primo allarme sull’utilizzo dei dati degli utenti a fini politici nel 2015, solo con l’aiuto di un whistleblower (una figura talmente aliena al nostro contesto culturale che neanche l’accademia della crusca è riuscita a tradurlo in italiano…), nel 2018 scoppia lo scandalo che rivela il meccanismo perverso con cui sono state influenzate le campagne elettorali certamente negli Stati Uniti, in Mexico e, per la Brexit, nel Regno Unito. Il mondo inizia a farsi delle domande sulla vera natura del modello di business dei social e le persone a darsi delle risposte sul valore della privacy dei propri dati personali.
La storia è nota, ma vale la pena ricordarla. Aleksandr Kogan, un data scientist dell’Università di Cambridge, diede un’app chiamata “This Is Your Digital Life” a Cambridge Analytica”, la quale a sua volta l’utilizzò all’interno di un programma attraverso il quale veniva chiesto ai cittadini di partecipare a sondaggi per scopi accademici. Centinaia di migliaia di utenti di Facebook accettarono, dando il consenso informato all’utilizzo dei loro dati. Tuttavia, il design di Facebook permise a questa app non solo di raccogliere le informazioni personali delle persone che avevano accettato di partecipare al sondaggio, ma anche le informazioni personali di tutte le persone nel social network Facebook di quegli utenti. In questo modo Cambridge Analytica acquisì dati da milioni di utenti di Facebook e vendette profili utente per campagne politiche con micro-targeting, spesso imbastite con il sistematico utilizzo di fake news e propaganda camuffata.
MELA CONTRO FACCIA DEI LIBRI
Nel frattempo, il mondo va avanti e arriva con furore dalla Cina il Covid-19. Ma Mark, con il sistema immunitario forse provato dalle testimonianze al Congresso americano per difendere il suo impero virtuale, si ammala per un altro virus cinese di nome TikTok, la piattaforma dei micro- video che piace ai giovani, i quali iniziano a navigare senza neanche passare da Hacker Street, dove ha sede Facebook, e portano altrove gli investimenti pubblicitari. Anche il vento sulla privacy intanto si rafforza. Il flop nostrano dell’app Immuni dimostra che iniziamo a non poterne più di essere merce di scambio a nostra insaputa. Il missile balistico però non arriva da Pechino, ma dal vicino di casa in California. Temendo per la propria reputazione, Apple lancia un anno fa la sua app Tracking Transparency, che serve a proteggere gli utenti dei suoi i-phone, limitando fortemente l’accesso ai loro dati di navigazione da parte di software di terze parti. Solo questa mossa costa a Facebook 12 miliardi di dollari di fatturato, perché i clienti perdono la capacità di arrivare a target di clienti potenziali precisi quanto prima. È come passare da usare milioni di cecchini a un cannone che spara in modo indifferenziato sulla massa. Troppo costoso. Risultato? Tra aprile e giugno, per la prima volta nella storia come società quotata, Meta ha registrato un calo del fatturato anno su anno. I volumi restano importanti: nel secondo trimestre ha incassato 29 miliardi di dollari, con un utile di 7 miliardi, ma la crepa c’è. Commentando il trend, Zuckerberg ha dichiarato, con il suo stile da mezze verità: “Avevo sperato che l’economia si sarebbe stabilizzata più chiaramente ormai, ma da quello che stiamo vedendo non sembra ancora che lo sia, quindi vogliamo pianificare in modo un pò prudente.
MONDI VIRTUALI TAGLI REALI
Un segnale chiaro però c’è già in questi giorni. Cosa fa Mark? Taglia i costi, che toccano le persone reali, non i loro avatar. Dodicimila persone sono l’obiettivo da raggiungere nelle prossime settimane, su un totale di 85 mila dipendenti, che i manager devono identificare tra chi ha ricevuto una valutazione della performance classificata come “necessita aiuto” e per molti dei quali non c’è più tempo per realizzare il tradizionale “piano di miglioramento personale”. Ci sono due liste: a 30 e a 60 giorni, indicano il tempo che hanno a disposizione per trovarsi un altro lavoro, prima che arrivino i licenziamenti formali. La tensione è destinata a salire. Venerdì scorso i collaboratori della società cui Facebook ha appaltato i servizi di pulizia degli uffici, hanno iniziato a scioperare e picchettare gli ingressi, dopo che il 40% è stato licenziato e in parte sostituito con personale non sindacalizzato.
Cosa c’è dietro l’angolo lo sapremo il 26 ottobre, data della prossima trimestrale.
“Il concetto di privacy che ho io non è lo stesso che ha mio padre ed è diverso anche da quello di un ragazzo di quattordici anni. Sei anni fa nessuno voleva che le proprie informazioni personali fossero sul web, oggi il numero delle persone che rende disponibile il proprio cellulare su Facebook è impressionante”, Mark Zuckerberg.
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