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A Verbania la scuola media “Luigi Cadorna” cambia nome in “Gino Strada”, suscitando qualche malumore

Non tutti hanno accolto la decisione del Consiglio di Istituto della scuola, che ha cambiato intitolazione in omaggio al fondatore di Emergency. “No alla Cancel Culture. Cadorna nacque a Pallanza e fu protagonista della storia italiana”

emergency  e gino strada

A Verbania non è passata inosservata la decisione del Consiglio d’Istituto della scuola media “Luigi Cadorna” che all’unanimità ha votato per la nuova intitolazione in “Gino Strada”, medico e fondatore di Emergency scomparso lo scorso agosto.

Nella città sul Verbano il cambio di nominativo è ben presto è diventato un vero e proprio “casus belli”, suscitando malumori tra partiti e movimenti vicini alla destra come il Comitato 10 Febbraio – da sempre in prima linea per ricordare la strage delle foibe – o l’associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.

Il principale motivo di contestazione è forte legame tra il Generalissimo e la sua terra natia, Pallanza, la principale frazione di Verbania dove lo scorso ottobre proprio il Comitato 10 Febbraio aveva ripristinato il mausoleo imbrattato dai vandali dedicato all’ex capo di stato maggiore dell’Esercito Italiano, presente su tutti i libri di scuola e manuali di storia per Caporetto.

«No alla Cancel Culture» commenta invece Lorenzo Salimbeni, presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che come indicato in una nota, avrebbe preferito la soluzione di intitolare a Strada una nuova scuola per attribuirgli un «riconoscimento nella toponomastica cittadina senza ledere precedenti denominazioni».

Riportiamo la posizione integrale dell’associazione sulla vicenda, con una ricostruzione (apologetica) di quello che fu il ruolo di Cadorna nella prima guerra mondiale:

«Ci dispiace quindi riscontrare che il recente centenario della Prima guerra mondiale non abbia lasciato in eredità alla comunità nazionale una visione di quella vicenda bellica meno stereotipata e non condizionata da pregiudizi figli della mentalità odierna, che però un secolo fa erano assolutamente fuori luogo. Luigi Cadorna, figlio del Raffaele Cadorna che comandava le truppe italiane entrate a Roma il 20 settembre 1870, adoperò, al pari dei suoi colleghi della Triplice Intesa e degli Imperi Centrali, quelle che erano le dottrine militari dell’epoca. Queste prevedevano purtroppo assalti di truppe contro posizioni trincerate che le artiglierie avrebbero dovuto indebolire o annichilire e invece migliaia di fanti rimasero falciati dalle mitragliatrici.

 Oltre 600.000 caduti italiani rappresentano una cifra cospicua in tre anni e mezzo di conflitto, ma altri eserciti hanno denunciato perdite ben più gravi causa queste disposizioni operative che non avevano tenuto conto dell’evoluzione degli armamenti. Rispetto, invece, ad altri eserciti, quello italiano impostato da Cadorna fece ricorso di meno alla decimazione di reparti ammutinati o alle fucilazioni di soldati che avevano contravvenuto agli ordini.  

La strategia delle “spallate” che avrebbero dovuto alla fine far cedere le difese austro ungariche consentì all’esercito italiano di conquistare Gorizia e di avanzare di alcuni chilometri, mentre Belgio, Romania, Serbia e Montenegro videro le truppe nemiche occupare le proprie capitali e l’esercito francese ebbe per tutta la durata del conflitto le truppe tedesche schierate a poca distanza da Parigi. Dopo le prime undici battaglie dell’Isonzo il dispositivo difensivo asburgico era in effetti sul punto di crollare: il rovesciamento di fronte registratosi a Caporetto avvenne per l’intervento di truppe tedesche venute a sostenere l’alleato in difficoltà.  

 Se appunto possono essere mosse critiche al “Generalissimo” riguardo Caporetto, esasperate dal bollettino in cui addossò le colpe sulle truppe e non volle denunciare le responsabilità di alcuni generali, tra i quali Pietro Badoglio, la successiva ritirata evidenziò un suo pregio. L’anno prima, infatti, in occasione di quella che la storiografia italiana definì la battaglia degli Altipiani, mentre per quella austriaca fu la Strafexpedition, Cadorna focalizzò l’importanza del Monte Grappa come pilastro difensivo. Nel momento in cui il fronte isontino crollò dopo Caporetto, la linea di resistenza che aveva il suo caposaldo sul fiume Piave era stata ben studiata ed il Grappa in particolare era stato fortificato e attrezzato con una strada militare. Nella conferenza di Peschiera Vittorio Emanuele III poté così respingere le esortazioni degli alleati anglo-francesi che facevano pressioni affinché il Regio Esercito si arroccasse su una linea difensiva più arretrata. 

 D’altro canto, già al momento dell’entrata in guerra dell’Italia Cadorna, da poco subentrato al vertice della macchina bellica, aveva dato prova delle sue capacità organizzative: scoprì solo a cose fatte che il Patto di Londra aveva rovesciato le alleanze e perciò in meno di un mese un esercito impostato sulla difensiva sulle Alpi occidentali dovette essere schierato in assetto offensivo sul fronte dell’Isonzo. 

 In un conflitto che soprattutto per gli italiani del Trentino, della Venezia Giulia, di Fiume e della Dalmazia rappresentò una Quarta guerra d’indipendenza necessaria al perfezionamento dell’unificazione nazionale avviatasi nel Risorgimento, Cadorna occupa un posto di rilievo. Luci e ombre hanno poi caratterizzato la sua fama, ma è grave fermarsi agli stereotipi per cancellare frettolosamente e proprio nella città che gli dette i natali il nome di un protagonista della storia patria».

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Pubblicato il 22 Dicembre 2021
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