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Vivere in un alpeggio. Emanuele: “Quel giorno ho deciso che avrei lasciato la città”

Emanuele Rossi da quindici anni vive con la famiglia in una baita del Luinese. "I miei figli? Quando saranno grandi decideranno del loro futuro"

varese varie

Ci sono persone che fin da bambini sanno quale sarà il loro destino. È difficile dire se questa consapevolezza sia una benedizione o meno. Per Emanuele Rossi, è semplicemente una necessità, qualcosa a cui non avrebbe mai rinunciato per nulla al mondo. «Fin da  piccolo, ho avuto una passione per l’agricoltura e più in generale per gli animali e la natura. Il pensiero di lasciare la città è sempre stato presente nella mia mente», racconta Emanuele.

Oggi, ha 40 anni e c’è una data che gli è rimasta impressa nella memoria: il 12 giugno 2010, per lui, un sabato speciale. Dopo una mezz’ora di cammino tra faggi e castagni, Emanuele raggiunge un alpeggio del Luinese, davanti a lui c’è una baita. Un rudere nel bel mezzo del bosco, non abitabile ed esposto a nord, a novecento metri di quota. Le trattative estenuanti per convincere il proprietario ad andargli incontro per l’acquisto sono già un ricordo, così come il rogito appena firmato dal notaio. Davanti ai suoi occhi il sogno di una vita si è materializzato. «All’inizio ero un po’ spaventato – sottolinea Emanuele – perché la baita era molto distante dalla prima strada percorribile. Ma né io né mia moglie abbiamo mai avuto ripensamenti».

Fino ad allora, Emanuele aveva vissuto a Carnago, conducendo una vita simile a molti suoi coetanei. Gli studi universitari, naturalmente alla facoltà di agraria, vari lavori, tra cui lo spillatore di birra, la passione per i fuoristrada e la musica. Oggi, considera quelle esperienze lontanissime e incompatibili con il suo stile di vita.  Così lontane che quando c’è da andare al supermercato per comprare l’olio o altri generi alimentari, né lui né la moglie vogliono lasciare, anche solo per poche ore, l’amato rifugio. «Qui godiamo della bellezza della natura e non ci sono persone – spiega Emanuele – Ogni volta è quasi un dolore dover lasciare tutto questo per immergersi anche solo per qualche ora nella caotica civiltà. Detto questo, mi ritengo aperto, ma voglio scegliere le persone di cui circondarmi».

Nelle situazioni estreme, si tende a usare ogni risorsa con molta oculatezza. E pur di evitare di dover tornare in città in macchina per comprare chiodi, utensili e tutto ciò che serve per i lavori, Emanuele ricicla tutto quello che è possibile riciclare. «In questo contesto, nulla va sprecato, anche un semplice pezzo di corda ha un valore. Ho imparato a riparare le cose vecchie e vi assicuro che è una grande soddisfazione oltre che un risparmio di denaro».

Se c’è qualcosa da spendere, soprattutto in cure, lo fa per i suoi animali: capre, mucche scozzesi e cani, che non possono aspettare. Con il tempo e grazie all’aiuto di chi ha già esperienza, ha imparato a far nascere i capretti e a sostenerli quando la mamma non li vuole allattare.
Emanuele ha ripristinato un campo di fronte alla baita piantando mille e duecento piante di mirtillo, che coltiva per vendere i frutti ad alcuni gruppi di acquisto solidale del territorio. Pur di evitare l’uso di prodotti chimici, tollera la presenza della Drosophila suzukii, più conosciuta come moscerino dei piccoli frutti, che riduce il raccolto del 50%.

Alla baita vivono anche i suoi tre figli, due femmine e un maschio. Due di loro frequentano la scuola elementare nella valle e quando sono a casa vanno alla ricerca dei palchi dei cervi nel bosco e pescano nel laghetto all’interno della tenuta. «Quando ero piccolo, passavo giornate intere nei campi, osservando tutto, persino i singoli fili d’erba – sottolinea Emanuele -. Così faccio con i miei figli: non impongo nulla e li lascio vivere all’aperto, alla scoperta della natura. Poi, quando saranno grandi, sceglieranno il loro stile di vita e se restare a contatto con questo ambiente o tornare in città. Per ora, qui si divertono molto».

Emanuele ama scolpire il legno con la motosega. Ha imparato con pazienza a riprodurre volpi, gufi, aquile e orsi, sculture suggestive e imponenti che, radunate davanti alla baita, sembrano voler dare il benvenuto ai visitatori. Trovare un posto in montagna dove poter vivere un rapporto autentico con la natura, lontano dal caos delle città, non garantisce di poter evitare alcuni effetti innescati dagli stili di vita poco sostenibili degli esseri umani, tra cui il cambiamento climatico.
«Qui, all’alpe, sono cambiate molte cose da quando sono arrivato – conclude Emanuele – Fino a otto anni fa, c’era un vero inverno, con ghiaccio e tanta neve che copriva tutta la recinzione. Oggi, non nevica quasi più e assistiamo a tempeste che prima non esistevano. Viviamo periodi di siccità estrema, tanto che, pur avendo due sorgenti all’interno della proprietà, ho dovuto ricorrere all’autobotte. La verità è che il tocco dell’uomo ci raggiunge ovunque e non c’è modo di scappare».

Pubblicato il 15 Marzo 2024
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