Edda Copelli, che per ottant’anni ha custodito il ricordo di Elvio
Si è spenta a Voldomino la sorella del partigiano trucidato nel 1944. Era solo una bambina di otto anni e in quel terribile giorno vide anche l'arresto del padre, poi rilasciato
Nei giorni scorsi è venuta a mancare Edda Copelli. Nella chiesa parrocchiale Santa Maria Assunta di Voldomino, il 29 novembre c.a., don Daniele Bai ha celebrato la messa di suffragio.
Nell’omelia ha ricordato la sofferenza di Edda a motivo delle atrocità dell’ultimo conflitto mondiale. Edda è sorella di Elvio Copelli, fucilato dai fascisti alle Bettole di Varese la sera del 7 ottobre ‘44 con Luigi Ghiringhelli ed Evaristo Trentin, partigiani della Gera.
Era solo una bambina di otto anni e in quel terribile giorno è stata portata a casa dai nonni. Anche il padre era coinvolto e catturato. Solo l’intervento di Elvio lo ha fatto risparmiare: «Lui non c’entra – ha detto a chi comandava – ci sono dei bimbi che lo aspettano a casa». Ed è stato rilasciato.
La sofferenza di chi è rimasto dopo quel giorno, non ha parole. Il messaggio di tutte le guerre, vinte o perse, è questo: il dolore che le permea e le accompagna.
Di seguito la testimonianza rilasciata dalle due sorelle Copelli, Edda ed Ersilia, a Carlo Banfi in occasione della stesura di “Lettere di un alpino della Monterosa” di Carlo Pastori.
Un incontro dovuto: Edda ed Ersilia, sorelle di Elvio Copelli
Questa volta mi accompagna Domenico G., alfiere del gruppo Anpi di Luino. Edda è sua zia. Con mia moglie arrivo in anticipo alla rotonda “Martiri della Gera”, che si trova ad inizio paese, sulla strada sotto la costa del Sette Termini, dove un tempo passava la tramvia proveniente da Valganna e Valcuvia. La casa dei Copelli è proprio lì, a cento metri. Non mi posso sbagliare, poco sopra la strada che conduce a Montegrino. C’è una rampa che si impenna e da lì si vede tutta la piana, fino al ponte del ‘Bric’ sul Margorabbia; nitida la Valle della Morte, che risale le pendici opposte. Là spicca la fornace, di sasso calcestro, a pianta rotonda. La scambieresti per una torre.
Anche appena sopra casa Copelli ce n’era una. Più su, dopo il bosco, la Cascina della Gera, forse meno di cento metri in linea d’aria. Non la vedo ma la sento nel cuore. Dalla rotonda passo tutti i mercoledì, per il mercato di Luino, con la moglie. Ormai nel paesino dove abito non ci sono più negozi. Non viene più neanche il panettiere a portarti il pane. Si è arreso anche lui.
Immagino che Domenico sia già in casa, con la zia. Ci accoglie sua cugina Mirella, figlia di Edda. Sua madre ha un viso dolce, mi ricorda tanto la mia. E’ del ‘36. La sorella Ersilia del ‘41, è accanto alla stufa a legna, con vetrinetta. La fiamma che si intravede palpitare sembra dare più calore a quel piccolo locale dove ci si trova bene, per le temperature fredde del giorno di Sant’Antonio. Da ragazzi la sera si faceva il falò, ‘per bruciare -dicevano- la barba bianca del Santo’, che traducevo ‘per dar fuoco all’inverno bianco di neve’. Per il calore che sprigionavano le stoppie scoppiettanti e con fiamme e scintille che lambivano il cielo, il gelo del terreno si scioglieva, quasi a chiamare la primavera.
Intrattenuto dalle due donnine, mi ero dimenticato di Domenico che ci ha raggiunti in casa. Sul tavolo le sorelle mi avevano messo la foto del padre, Guglielmo, con vicino un gatto. Quando l’anziano si spostava in bicicletta il gatto gli saltava sulla spalla e se ne andava in giro con lui, anche in Svizzera, “così portava fuori un toscano in più, perché diceva alla guardia di frontiera che spettava al gatto. Allora erano molto severi per la merce proveniente da oltre confine”, mi precisa Edda.
Guglielmo era del ‘91. Da giovane era emigrato per lavoro a Toronto, in Canada, come boscaiolo. Nel 1911 era a Tripoli: la guerra di Libia, ed è stato ferito ad una mano. Nel ‘41 era in Germania, sempre per lavoro, ed è tornato per la nascita di Ersilia. Solo che all’arrivo a Varese non c’erano più corse del trenino per Luino ed allora si è fatto a piedi il tragitto pur di essere a casa, vicino alla moglie Paolina Baggiolini. Era del ‘97. Madre di quattro maschi e quattro femmine, una morta durante il parto.
Edda ed Ersilia, al momento del fattaccio della Gera, avevano sette e due anni. Quello che hanno ben vivo nella memoria è il ‘racconto’ che ne seguiva durante tutta la loro crescita, con il segno indelebile di quella tragica scomparsa a segnare la vita di tutti loro.
Quando Elvio è stato chiamato dalla RSI per la visita militare -era del ‘24- ha preso il trenino per recarsi al distretto di Varese. Ma a un certo punto è scappato lontano dai binari: “C’è già mio fratello Eriberto in marina e non voglio fare la stessa fine!” E si è dileguato nei boschi.
Il suo mestiere era quello del boscaiolo. Il bosco era la sua vita. E le avventure di pesca raccontate da Carletto e Bernardo, me ne hanno delineato il carattere. Anche la mia fanciullezza è trascorsa nel mondo contadino, tra i campi ben ordinati e le siepi, libero di scorazzare coi coetanei in quel mondo da favola. Mettere una divisa ad Elvio era come imprigionare in gabbia una rondine! Il padre Guglielmo si rammaricava: “Forse doveva spiegargli che doveva partire, affrontare quei disagi, dormire sulla paglia… forse rivedeva la sua guerra…” mi sussurra Edda.
La sera prima della retata Elvio era passato da casa. Era fradicio d’acqua, per il tempo inclemente di quei giorni. Si era cambiato i panni. Aveva un forte mal di denti. Non poteva fermarsi perché doveva montare di sentinella. La mattina dopo la mamma vede passare i fascisti che risalgono il bosco. Il pensiero va a quei panni e corre a nasconderli. Quando erano braccati, Elvio con qualcuno del gruppo si rifugiava in un’intercapedine della cantina: per isolare l’umidità che scendeva dal versante, i muri delle fondamenta verso la montagna erano due, uno poco discosto dall’altro. “Si infilava da una botola esterna che il papà provvedeva a mimetizzare. Se c’era pericolo e la permanenza era lunga, da una finestrella si passava il cibo. Diverse notti le ha trascorse così. Una volta con lui si è nascosto anche una brutta faccia. Forse era il Rosato, ammazzato come traditore in centro a Luino nei primi giorni di fine guerra. E mia madre ha detto all’Elvio: ‘Non portare più a casa quello lì, ha una faccia che non mi piace!’
Papà Guglielmo quel mattino, al passaggio dei militi della Brigata Nera, è salito subito alla Gera. Lo hanno preso ai margini del bosco e portato via. Elvio ha detto ai fascisti: ‘Lui non c’entra. Avete me. Lasciatelo andare perché a casa ha dei figli piccoli che lo aspettano’. E così è stato”.
Non ricordano quando Elvio si è aggregato alla banda. Lavorava nei boschi con Maffioli Remo, del ‘25. “Se mi cercano, ditegli di venire nei boschi, che sono là”. Passava dalla Gera e lo ha visto il Lazzarini, che lo ha convinto a mettersi con loro. Aveva bisogno di uno come lui, che conosceva bene la zona. Quando lo hanno catturato quella mattina, lo hanno anche torturato. Bernardo mi ha parlato del sangue sul torace quando lo ha visto passare. La mamma raccontava che gli han cavato un occhio. Edda, con il fratellino Enzo, più grande di tre anni, quel giorno è stata portata in paese a casa della nonna.
I funerali ci sono stati dopo sette giorni. Tutti avevano paura. La sorella Elsa del ‘26 era ricoverata in ospedale per peritonite. Là apprende della fucilazione. L’operazione non va troppo bene. Il trauma per il fratello la condiziona. Non si riprenderà più in salute.
Edda ed Ersilia rammentano che anche la mamma stava sempre male. Era venuto un prete da Varese a parlare con lei. Probabilmente si trattava del sacerdote che ha assistito i tre partigiani prima della fucilazione all’Ippodromo delle Bettole di Varese.
La madre è morta nel ‘59, il papà nel ‘63.
Prima di accomiatarci Edda ed Ersilia vogliono mostrarci il nascondiglio sotto casa. Sono state apportate delle modifiche. La finestrella per il cibo e per il ricambio dell’aria è stata murata, lo spazio ampliato. “Mio padre metteva la sedia a sdraio lì, nell’intercapedine, e rimaneva ore solo” mi dice Edda. Prima di separarci le ho abbracciate tutte e due con un bacio di commiato.
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