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Tavolo Clima Luino: “I Fast-Food sono compatibili con la salute umana e del Pianeta?”

Con l'ultimo di una serie di tre scritti la realtà luinese intende, senza pretesa di originalità, riportare qualche dato scientifico e qualche considerazione in merito

generica

(Di Alessandro Perego del Laboratorio Comunicazione)

Veniamo dunque alla seconda questione con cui abbiamo concluso lo scorso articolo: i fast-food sono compatibili con la salute umana e del Pianeta? La domanda, posta in questi termini è troppo vaga. Cerchiamo quindi di essere più specifici.

L’offerta di punta delle catene di fast-food più diffuse, McDonald’s e Burger King, è costituita da panini a base di carne bovina, come abbiamo visto di gran lunga la più inquinante in termini di emissioni; inoltre, come è noto, ci sono forti criticità dal punto di vista nutrizionale, almeno per quanto riguarda il menù tipico offerto da queste catene: panino, patatine e bibita. Un “Big Mac menù” composto da panino, patatine medie e coca-cola apporta circa 1000 kcal, circa il 50% della quantità di grassi saturi e di sale raccomandata in un giorno per un adulto medio e una grande quantità di zuccheri semplici provenienti da bevande zuccherate, senza significativi apporti di verdura e frutta: esattamente il tipo di alimentazione che l’OMS suggerisce di evitare (Dati pubblici reperibili direttamente dal sito della catena McDonald’s).

Come se la cava un Big Mac menù in termini di emissioni? Il solo panino è responsabile di 2.35 kg di emissioni di CO2, secondo un calcolo del The Mirror, che ha utilizzato il calcolatore reso disponibile dal sito Plate up for the Planet. Per fare un confronto, secondo lo stesso calcolatore un piatto di pasta al pomodoro e una porzione di legumi richiedono la generazione di circa 0.4 kg di CO2; ancora, una porzione di salmone da 200 g richiede l’emissione di circa 0.5 kg di CO2. La maggior parte della CO2 necessaria per produrre il Big Mac deriva, naturalmente, dalla carne.

Ne consegue che il modello produttivo e di consumo che è attualmente alla base della ristorazione offerta da queste catene non può definirsi sostenibile né sotto il profilo nutrizionale né, tantomeno, dal punto di vista delle emissioni climalteranti.

Per ridurre le emissioni in modo significativo dobbiamo modificare i nostri consumi, orientandoci verso produzioni alimentari meno impattanti sul clima, riducendo in modo drastico il consumo di carne, in particolare bovina. E’ vero che McDonald’s ha ultimamente fatto molti sforzi e ha promesso ulteriori progressi in termini di riduzione delle emissioni dovute alla catena produttiva dei suoi prodotti e ad un aumento dell’utilizzo delle fonti rinnovabili per alimentare i propri ristoranti, ma è il modello di business in sé, il modello burger-centrico, ad essere, a detta di molti e anche dal nostro punto di vista, essenzialmente incompatibile con la lotta al cambiamento climatico.

Come Tavolo per Clima riteniamo dunque che le catene di fast-food che oggi basano il proprio business sulla carne, se vogliono risultare credibili nel dichiararsi interessate a risolvere il problema del cambiamento climatico, dovrebbero:

– Ripensare il modello burger-centrico, investendo su soluzioni alternative anche vegetariane e vegane che riducano l’impatto sul clima;

– Valutare, ove possibile, offerte che privilegino i prodotti locali e non provenienti da allevamenti intensivi;

– Indicare l’impronta carbonica dei propri prodotti sulle confezioni, esattamente come ora viene indicato il profilo nutrizionale: è bene che il consumatore conosca non solo l’impatto di un alimento sulla propria salute, ma anche l’impatto che la sua scelta ha sul Pianeta;

– Contribuire alla transizione energetica alimentando con energia 100% rinnovabile i propri ristoranti e offrendo, ove possibile, colonnine di ricarica per le auto elettriche dei clienti.

– Puntare non solo sul riciclo, ma soprattutto sulla riduzione degli sprechi e sul riuso dei materiali, ad esempio le stoviglie. La ben nota regola delle tre R (Riduci, Riusa, Ricicla) è ordinata non in modo casuale, ma secondo l’importanza delle buone pratiche per ridurre l’impatto sull’ambiente delle nostre azioni. Il miglior rifiuto, è bene ricordarlo, è sempre quello non prodotto.

Per quanto riguarda la tutela dei consumatori, rileviamo una sostanziale carenza informativa rispetto all’impatto sulla salute e sul clima della carne, in particolare della carne di manzo. Da questo punto di vista, sono gli enti locali e statali, i Comuni, le Regioni e in particolare il Ministero della Salute e il Ministero dell’Ambiente, che dovrebbero intensificare le campagne informative, spiegando alla popolazione quanto sia importante, se vogliamo davvero raggiungere gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi, essere consapevoli dell’impatto delle proprie scelte alimentari.

Non c’è alcuna volontà di suscitare allarmismi: mangiare occasionalmente un Big Mac non ci farà male e non decreterà la fine del genere umano. Le nostre abitudini invece, ciò che quotidianamente acquistiamo, facciamo, mangiamo, sono ciò che determinerà la sopravvivenza o meno di un modello produttivo che allo stato attuale sembra destinato a portarci verso la catastrofe climatica.

Pubblicato il 05 Aprile 2023
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