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“Arrivati a Comabbio con la guerra negli occhi”, tutto il paese li accoglie. Ecco le loro storie

Dire addio alle persone e ai luoghi che ami per scappare lontano, in una terra di cui forse hai solo sentito parlare. Dietro alla guerra c'è soprattutto questo. Le mamme, i ragazzi e i bambini in fuga dall'Ucraina hanno parlato del loro viaggio a VareseNews

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È sera, ti addormenti nel tuo letto, sotto il tetto di casa tua, accanto a te la tua famiglia. All’alba ti sveglia il telefono, dall’altra parte una persona ti avverte che è cominciata la guerra. All’inizio non vuoi crederci, ma presto i boati delle esplosioni non lasciano dubbi. Il posto che ami non è più sicuro, devi andartene. Parti per il confine, passi la dogana, ma tuo marito non può raggiungerti, deve restare a combattere. Resti da sola, in una mano tieni il piccolo palmo di tuo figlio, dall’altra le poche cose che hai potuto portar via. Non c’è altro da fare che continuare il viaggio. La destinazione è lontana, ha un nome che forse non hai mai neppure sentito. Nel cuore resta la speranza di riuscire prima o poi a ritornare e riabbracciare chi è dovuto rimanere.

Da marzo il paese di Comabbio ospita tre gruppi di rifugiati provenienti dall’Ucraina. Tre famiglie, tre vicende diverse, ma tutte accumunate dalla guerra e dal dolore di essersi dovuti lasciare alle spalle una vita che sembra ormai lontanissima. Venerdì 1 aprile mamme, ragazzi e bambini hanno incontrato un giornalista di VareseNews nella casa che li ha ospitati per raccontare il viaggio che hanno affrontato. Queste sono le loro storie.

In fuga da Charkiv, la storia di Maryna e Hanna

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Charkiv è il 23 febbraio, un mercoledì mattina come tanti altri. Maryna è a casa sua e sta finendo di preparare suo figlio di dieci anni per la scuola. I notiziari parlano di truppe russe vicino al confine. Non ci sono novità, ma mentre percorre le vie della sua città, Maryna si accorge che qualcosa è cambiato. Lungo le strade ci sono già gruppi di militari ucraini in divisa. Nell’aria c’è tensione, ma la situazione è ancora tranquilla, non c’è motivo di preoccuparsi troppo. «Nessuno – racconta Maryna – si sarebbe aspettato che a breve sarebbe scoppiata la guerra». Il giorno dopo, il 24 febbraio, cominciano gli scontri. Appena se ne rende conto, Maryna prende suo figlio e insieme alla sorella Polina e a sua madre si rifugia in cantina.

Maryna e la sua famiglia trascorrono i giorni successivi nello scantinato, ma presto la situazione diventa troppo pericolosa e decidono che è arrivato il momento di scappare. Il 2 marzo si recano alla stazione. La famiglia di Maryna è appena salita sul treno, quando le bombe cominciano a cadere sulla città. «Abbiamo avuto paura – ricorda Maryna – di non riuscire ad allontanarci in tempo dalla città». Il treno riesce però ad allontanarsi da Charkiv e raggiunge la stazione di Leopoli (vicino al confine con la Polonia). Il gruppo di Maryna non si ferma e continua a viaggiare fino a raggiungere l’Ungheria. Qui trovano accoglienza in un centro buddhista e alcuni giorni più tardi riescono finalmente a salire a bordo di un volo diretto per l’Italia. «I bambini erano terrorizzati – racconta Maryna -. Per tutto il viaggio hanno pregato di riuscire a salvarsi. Sono riusciti a calmarsi solo una volta arrivati in Ungheria. L’esperienza li ha però segnati a fondo. Quando hanno sentito i tuoni del temporale di questi giorni, i più piccoli sono sobbalzati, temevano che le bombe li avessero seguiti fin qui».

Ora Marina, suo figlio e sua sorella sono al sicuro a Comabbio, dove hanno trovato accoglienza nella casa di una famiglia del paese. In Ucraina si trova ancora il marito di Maryna, suo fratello, i genitori e i nonni malati, che non sarebbero riusciti ad affrontare il viaggio. «Anche da qui – aggiunge Marina – ogni tanto riusciamo a metterci in contatto con i nostri famigliari in Ucraina per sapere se stanno bene».

Con lo stesso gruppo è arrivata in Italia anche Hanna: la moglie del fratello di Maryna. Hanna ha una casa in un paese vicino a Kharkiv. Non è ancora sorto il sole quando il 24 febbraio una telefonata la sveglia all’alba. È la madre, che la avvisa dell’inizio della guerra. «Non ho voluto crederci – racconta Hanna –, finché dalla finestra non ho sentito l’esplosione di una bomba».

Hanna si precipita subito a chiudere l’indispensabile in valigia. Poco dopo è pronta a partire. Suo figlio di appena otto anni è pronto ad andarsene, in mano stringe il suo peluche preferito. Insieme escono di casa, passano a prendere la madre e si dirigono verso il centro di Kharkiv. Qui Hanna e la sua famiglia trascorrono i giorni successivi nascosti in un grande scantinato insieme ad altre 20 persone, dormendo per terra e uscendo solo per trovare lo stretto necessario per sopravvivere.

Dopo sei giorni all’interno del rifugio, Hanna esce per fare provviste e si dirige verso il negozio. La vetrina si affaccia su uno spiazzo, i gestori lasciano entrare solo cinque persone alla volta, e davanti all’ingresso si forma una lunga coda. Hanna sta aspettando il proprio turno, quando un missile si schianta nel piazzale. Una scheggia si libera nell’esplosione. Colpisce un ragazzo in fila dritto in testa, proprio di fronte ai suoi familiari. I negozianti fanno subito entrare tutti nell’edificio. Il ragazzo ferito cade in preda alle convulsioni e la sorella lo tiene tra le mani, cercando di fare tutto il possibile in attesa che arrivino i soccorsi. L’allarme passa e Hanna ritorna al rifugio. È arrivato il momento di andarsene.

Il gruppo di Maryna e Hanna è arrivato in Italia grazie a Valentino, il compagno della figlia di Barbara: una volontaria dell’associazione Bambini di Cernobyl e tra coloro che si sono attivati per trovare una nuova casa per i rifugiati ucraini a Comabbio.

Una notte sotto le bombe, la storia di Anna e Yuliia

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Anna è la mamma di una bambina di nove anni; Yuliia lavorava come pasticcera, ha due figlie di 16 e otto anni. Arrivano da Charkiv e quando all’alba del 24 febbraio hanno saputo dell’invasione, anche per loro la prima reazione è stata di incredulità. «Stavamo ancora dormendo – ricorda Julia – quando un’amica ci ha chiamato per avvisarci dell’inizio degli scontri. Nessuno di noi avrebbe mai immaginato di ritrovarsi in mezzo a una guerra».

È il 3 marzo, Yuliia è in casa quando all’improvviso sente gli aerei da guerra sfrecciare nel cielo. Senza pensarci due volte, prende le sue figlie e si nasconde nella cantina. I bombardamenti con l’oscurità non si fermano, la famiglia passa la notte nell’angoscia, i bambini terrorizzati delle esplosioni. Il giorno dopo Yuliia e Anna decidono di partire.

Il 4 marzo, a mezzogiorno, il gruppo di Yuliia e di Anna sono alla stazione di Charkiv. L’obiettivo è prendere il primo treno disponibile, non importa dove sia diretto, basta che sia lontano da dove si trovano adesso. Sulla banchina regna il caos. Ognuna delle tantissime persone in fuga riesce a pensare solo alla salvezza di sé e dei propri cari, schiacciati in mezzo a una folla che sgomita per trovare un posto a bordo dei vagoni. Yuliia e Anna devono aspettare per ore, finché alle 18 riescono a salire su un treno, senza neppure conoscerne la destinazione. A bordo lo spazio è pochissimo, durante il viaggio Anna, Yuliia e le loro figlie devono condividere un singolo scompartimento insieme ad altre 15 persone.

Finalmente le due famiglie arrivano a Leopoli, dove trovano ospitalità a casa dei genitori dell’ex marito di Anna. L’accoglienza non è affatto calorosa, e poco dopo le due madri decidono di andarsene nuovamente. La destinazione questa volta è la Moldavia, dove vivono altri loro parenti. Giunti alla meta nel Paese vicino, Julia e Ania riescono ad assicurarsi un passaggio a bordo di un bus di un’azienda di trasporti moldava diretto verso l’Italia. L’Odissea delle due famiglie si conclude dopo sette giorni di peripezie con l’arrivo a Comabbio. Qui Yuliia, Anna e le loro figlie hanno trovato ospitalità nella casa di villeggiatura di una coppia residente a Milano.

Dall’Ucraina a Comabbio grazie alla nonna, la storia di Svetlana e Yuliia

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Svetlana con sua figlia Katryna e il piccolo Sasha sono arrivati in Italia grazie alla nonna Alina, che da anni vive in Italia. Insieme a loro, sono arrivati a Comabbio anche Yuliia e suo figlio Sasha di 17 anni. La madre di Sasha (il più grande) ha voluto portare il figlio con sé lontano dalla guerra, per evitare che il giorno del suo diciottesimo compleanno si ritrovasse al fronte con un fucile in mano a causa della legge marziale (in Ucraina ogni uomo abile dai 18 ai 60 anni deve fare la propria parte nella difesa del Paese). I due papà si trovano infatti ancora in Ucraina. Non avendo ricevuto la giusta preparazione, non hanno preso parte ai combattimenti, ma devono comunque contribuire alla difesa, aiutando il resto delle forze in campo.

Svetlana e Yuliia vivono insieme alle loro famiglie a Lutsk, vicino al confine con la Bielorussia. Alle 6 del mattino del 24 febbraio vengono a sapere che l’invasione russa è cominciata.  «All’inizio – raccontano – non volevamo partire. Speravamo che tutto sarebbe finito in fretta e che la situazione si sarebbe risolta». Nella notte dell’11 marzo, le bombe cadono sulla base aerea militare vicina. Svetlana e Yuliia si rifugiano subito in cantina insieme alla famiglia. Rimangono nascoste per alcuni giorni, ma alla fine decidono di scappare. Il gruppo comincia il suo viaggio verso il confine con la Polonia, dove si riunisce con il convoglio partito da Comabbio per portare aiuti alla popolazione Ucraina e condurre il gruppo di rifugiati al sicuro.

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Katryna, giovanissima pallavolista, nella sua uniforme

«Arrivate con la guerra negli occhi», il racconto di chi ha accolto

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Al loro arrivo a Comabbio, mamme, ragazzi e bambini hanno trovato una comunità a braccia spalancate. Il paese ha messo in moto una grande rete di assistenza che ha coinvolto le istituzioni, le associazioni (in particolare l’associazione Bambini di Cernobyl e gli Amici della Scala Santa), medici, oltre a tantissimi volontari che hanno cercato in ogni modo di dare una mano.

Tra coloro che più sono stati vicini ai rifugiati ci sono Barbara, Elena e Paola, che insieme hanno aiutato le famiglie appena arrivate a trovare una sistemazione e a sbrigare tutte le pratiche burocratiche. «Ora – raccontano – le donne e i piccoli sono già più sollevati, Yuliia nei giorni scorsi ci ha addirittura preparato una torta. Il giorno in cui sono arrivati, però, avevano la guerra negli occhi. Stare al loro fianco in quei momenti è stata un’esperienza intensa anche per noi. Alcune persone spesso ci chiedono “perché fate tutto questo?”. La risposta viene dal cuore. La solidarietà alla fine ripaga sempre».

Per aiutare le famiglie ucraine arrivate a Comabbio, l’associazione Amici della Scala Santa ha lanciato una raccolta fondi. L’intero ricavato sarà distribuito alle madri, in modo da offrirle un minimo di autonomia.

Alessandro Guglielmi
aleguglielmi97@gmail.com
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Pubblicato il 04 Aprile 2022
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