Il discorso di Roberto Radice, in ricordo di Giovanni Reale
La trascrizione, fatta da Giorgio Ferri, del discorso tenuto da Roberto Radice lo scorso 5 settembre in occasione della intitolazione della sala conferenze di Palazzo Verbania al filosofo Giovanni Reale
In ricordo del 5 settembre passato, giorno in cui è stata intitolata la sala conferenze di Palazzo Verbania ad uno dei simboli della cittadina lacustre di Luino Giovanni Reale, tante sono state le persone che in quella occasione ne hanno ricordato la figura, la personalità, la caparbietà e l’intelligenza.
Tra questi interventi quello di Roberto Radice, ex allievo del professor Reale, ha particolarmente colpito tutti i presenti. Le sue parole sono state così trascritte da Giorgio Ferri, cognato di Reale, in segno di “riconoscimento”, per averlo descritto in modo così completo e genuino.
(Trascrizione a cura di Giorgio Ferri) “Io non riprendo i ringraziamenti già fatti, ma troverei una ragione in più per ringraziare nell’aver riunito la famiglia del professor Reale, per quanto è possibile, tutta insieme e in un luogo così bello. Da oggi si può dire che Luino ha una sala Reale, prima non si poteva dire. Una sala Reale su cui però bisognerebbe fare una precisazione: questo «Reale» non è un aggettivo con la «r» minuscola ma è un nome proprio con la «R» maiuscola. Questo aumenta la nobiltà e la visibilità della nostra città che può vantare di avere qualcosa di reale, di regale. Infatti, una sala così bella è difficile trovarla in un altro posto. Però l’ambiguità di “reale” in senso di regio e di Reale in senso di Giovanni va messa bene in chiaro: dobbiamo definire, perché la trasmissione dei valori è una questione complicata; i valori sono come i colori, facilmente col tempo sbiadiscono e alla fine non si distinguono più. La personalità di Reale è complessa, in un certo senso “prismatica”: è un’unità, ma quando riceve la luce questa la divide in tanti raggi. Io naturalmente mi occupo del raggio filosofico, come persona informata sui fatti: non sui fatti della filosofia ma sui fatti della vita e delle opere del professor Reale. Allora aggiungerei un punto di domanda al contenuto della targa e chiederò: ma Reale principalmente è stato un filosofo? A questa domanda risponderò molto brevemente postulando tre ipotesi. La prima è: no, non è stato un filosofo; la seconda è: sì, è stato un filosofo. La terza (che non dovrebbe esserci, ma che in filosofia c’è sempre) è: sì e no, insieme. Sì-e-no-insieme significa che è stato un filosofo a modo suo. È quindi necessario che qualche cosa di questo «suo modo » io riesca a comunicarvi; altrimenti tutti quelli che entreranno in questa sala, posto che sappiano esattamente qual è il mestiere del filosofo, potrebbero farsi un’idea sbagliata del suo essere nella storia. Allora, la prima risposta, negativa, è facile da dimostrare, perché lui -da tempo immemore- è stato professore di storia della filosofia antica; storia della filosofia è materia nel metodo diversa dalla filosofia, che accademicamente, di solito prende il nome di teoretica oppure di etica. Per dare il nome di filosofo a Reale occorre conoscere la definizione di “filosofo”. Non è un compito facile ora e non è stato facile neppure per Aristotele che pure la filosofia l’aveva per metà inventata. Però rispondere a queste tre domande, seguire queste tre ipotesi prospettate è utile per farci un’idea di come sia fluttuante il significato di filosofia nel tempo che scorre. La filosofia non è la sofia: “filosofia” vuol dire amico del sapere, “sofia” vuol dire sapienza. Allora, se io fossi un filosofo definitivo, il migliore di tutti, quello che ha sintetizzato tutto quanto c’è da sintetizzare, la filosofia non esisterebbe più, perché non ci sarebbe più niente da ricercare. Ora, c’è una frase del professor Reale che, fra le tante che ho in memoria, ho sempre attribuito alla sua umiltà, ed era questa: «come posso io pretendere di essere il detentore della verità quando intorno a me migliaia hanno la stessa pretesa che ho io?»; «come e con quale carisma posso decretare che la mia verità è migliore della vostra?» No, Reale non avrebbe voluto essere filosofo. E questo anche per un altro motivo: perché aveva capito molto bene, studiando per cinquanta o sessanta anni la storia della filosofia, che tutto si poteva dire di essa tranne che fosse una cosa in stasi, una cosa definitiva. Invece era come un fiume e un fiume, ha solo due alternative o scorrere o seccarsi e svanire. Questa era la risposta professionale e interiore di Reale che ci porterebbe a dire: «no, non era filosofo e neppure avrebbe voluto esserlo». Però vige anche l’altra ipotesi, la quale dice che sì, era filosofo. In verità, si può pensare che lui sia diventato filosofo e neanche per scelta sua. Ho portato con me due libri, di un colore molto bello, della collana di Raffaello Cortina; uno è del 1995 e precede l’altro, scritto insieme al suo amico Dario Antiseri col quale ha diviso lo sforzo immane di produrre la Storia della Filosofia. Questi due libri hanno prodotto un cambiamento nel professore, o meglio hanno espresso un cambiamento di linea (come dire un giro di boa!) che ne ha determinato il destino di filosofo nel senso di teoreta, non di quello che scopre l’evoluzione della storia del pensiero ma di quello che per via di contemplazione vede improvvisamente una sintesi di tutte le realtà che ci sono, prese per il loro verso. La collana di Raffaello Cortina è dichiaratamente laica, per molti aspetti laicista e in quel momento era diretta e forse anche cofondata da Giulio Giorello, professore di Filosofia della Scienza: una persona molto sveglia e lungimirante, consapevole del fatto che una partita a tennis non si può giocare da soli, c’è bisogno di un avversario, un antagonista, e scelse Reale. Perché Reale? Perché Reale non era un cripto-cristiano cioè un cristiano che non si vede, cangiante, ma rappresentava la fedeltà al cristianesimo; non era possibile trovare uno che, meglio di Reale, impersonasse più chiaramente e con più autorità filosofica valori cristiani. Giorello comprese bene che il valore dell’avversario rivela il valore dell’altro avversario. Nel libro di cui parliamo, e non alla fine del libro, ma già nelle prime pagine, si legge esattamente che “bisogna ricercare il fondamento del tempo moderno, che è un tempo ammalato”: un tempo oppresso non da una ma da dieci malattie, manifestazioni di un unico virus che, ad avviso di Reale, è il nichilismo, cioè il ritenere che nessun valore della nostra vita abbia sostanza e consistenza. Trovata la malattia Reale fa notare che i mali dell’uomo moderno non sono evidenziati dalle cosiddette scienze sociologiche, perché queste fanno della ritrattistica, si basano solo su evidenze e fenomeni che si vedono. È come se si riducesse un bosco che vedo alla totalità degli alberi che si innalzano dal suolo, quando è evidente che la parte principale di essi non appare, perché è sottoterra. Sarà pure sottoterra, ma senza questa parte invisibile l’albero non sta su e muore. A al punto siamo prossimi alla fonte del pensiero di Giovanni Reale: quello che conta è la radice del sapere contemporaneo e soprattutto dei mali dell’uomo moderno, che sono mali congeneri, ereditari e quindi vanno curati a partire dalle radici, non dalle fronde dove al massimo appaiono i sintomi. Si deve considerare che Reale non proponeva di ricostruire un pensiero arcaico capace di generare tutti i pensieri della storia e della cultura occidentale, ma voleva additare l’intera antichità (cioè milleduecento anni e almeno quaranta autori di grande livello) nel suo itinerario come modello e cura dei mali dell’anima. Potremmo dire che proponeva un cocktail di farmaci, dove l’importante non sta nella potenza e la tipologia di ciascun farmaco, ma il movimento e il flusso della sapienza nella mente dei pensatori che si susseguono di generazione in generazione. Sarebbe insomma la tradizione, assai più degli individui ad avere capacità terapeutiche, perché è la tradizione che veicola gli anticorpi dei mali dell’anima propri dell’uomo occidentale. Ecco perché ho posto la terza ipotesi del sì-e-no: sì Reale è un filosofo, perché quando dice che l’età moderna e la cultura occidentale (vale a dire la scienza con tutti gli annessi e connessi) hanno un’origine fondante, con ciò dice qualcosa che solo un teoreta può affermare. Reale si fa carico di questo problema, ma lo risolve non indicando una formula o una ricetta, ma semplicemente indicando la genealogia della nostra civiltà nei suoi primi milleduecento anni, a partire dal settimo secolo avanti Cristo. In tal modo la filosofia appare come un vettore e non un fatto che può essere datato e circoscritto. A me piacerebbe che Reale fosse il filosofo con il maggior numero possibile di targhe in Italia, perché il suo pensiero non è facilmente riassumibile e semmai è utilmente riducibile ad alcuni flash che sono in un certo senso fulminanti. Io ne avrei in mente qualcuno e se trovassimo altre sedi per continuare nel tempo l’itinerario che questa targa inaugura, noi avremmo arricchito la nostra città con una traccia aurea che qualcuno primo o poi seguirà”.
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