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Dai ratti alle assemblee dei frontalieri, anni di trattative in attesa di una firma che sembrava persa

Della revisione dei bilaterali si parla da anni, in alcuni momenti le relazioni si sono fatte tese, in altri la stipula sembrava quesitone di giorni. I frontalieri hanno vissuto i prima fila i risvolti di questa trattativa infinita

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Sono cambiati i governi, dieci ministri dell’economia in meno di vent’anni, i consiglieri federali, quelli economici e i delegati per le relazioni internazionali. Ma alla fine, in una giornata di dicembre, dell’anno più difficile della storia recente, segnato dalla pandemia da Coronavirus è arrivata una firma che nei territori di confine, come il Varesotto, si attendeva da anni.

L’accordo sull’imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri è realtà e andrà a sostituire i bilaterali che risalgono al 1974. Un’intesa che Svizzera e Italia inseguono da decenni con momenti in cui le distanze tra i due paesi sembravano incolmabili e altri, in cui la firma pareva questione di ore.

Al centro di questa infinita trattativa i diversi rapporti tra territori di frontiera, il meccanismo dei ristorni (la cifra ingente che ogni anno Berna “compensa” a Roma e che poi va a integrare le casse dei comuni di frontiera) e la tassazione dei lavoratori frontalieri, oltre 70mila pendolari italiani che ogni giorno passano la dogana per motivi di lavoro.

Nel 2015 si era arrivati a un passo da stipulare l’intesa, ma il testo, tra polemiche, instabilità dei governi italiani e continui cambi di interlocutori non è mai riuscito ad arrivare al consenso finale. Quel documento si era arenato e la firma non era più andata in porto, con grande malcontento e quasi rassegnazione, da parte dei vicini ticinesi. 

Oggi, come anticipato dalla stampa svizzera e poi confermato ufficialmente, l’accordo è finalmente arrivato e va a toccare diversi aspetti legati alla fiscalità tansfrontaliera andando a garantire, almeno secondo gli intenti, non solo le tutele per i lavoratori ma anche per le dinamiche di confine.

Accordo storico tra Italia e Svizzera, firmata l’intesa su frontalieri e ristorni

Negli ultimi vent’anni i frontalieri hanno vissuto sulla propria pelle le conseguenze dell’inasprirsi o meno delle relazioni tra i due stati. E collaterali ad esse, c’era proprio la revisione dei bilaterali del ’74.

Tanti i momenti in cui “i rapporti di vicinato” sono stati tutt’altro che buoni: come quelli durante le trattative in materia di tassazione dei patrimoni all’estero e di segreto bancario, l’entrata in vigore dello scudo fiscale del ministro Tremonti o la diffusione delle “black list” italiane dei paradisi fiscali dove puntualmente veniva inserita anche la Confederazione. In altri momenti il dialogo tra Italia e Svizzera ha fatto passi avanti, anche silenziosi per poi però bloccarsi di nuovo.

Abbiamo visto in questi anni assemblee “di confine” affollate di lavoratori e associazioni di frontalieri sempre più strutturate crescere al fianco delle rappresentanze sindacali. Ma anche momenti meno edificanti come il susseguirsi di campagne elettorali discriminatorie, tristemente emblematica quella dei lavoratori italiani rappresentati come topi pronti a divorare il ricco formaggio svizzero, il posizionamento dei “fiscovelox” al confine tra Ticino, Comasco e Varesotto, il blocco dei ristorni e dei progetti interreg, le minacce di ritorsione da parte dei politici più populisti ticinesi verso i frontalieri.

Pendolari il cui numero negli anni è effettivamente sempre cresciuto, raddoppiando di fatto dal 2005 ad oggi. Un incremento, che ha costituito una sorta di “ammortizzatore sociale” per i territori italiani limitrofi alla frontiera elvetica ma che, visto dal Ticino, ha rappresentato anche preoccupazioni e disagi, che hanno trovato risposta in alcuni movimenti politici, come Udc e Lega dei Ticinesi ma anche alle urne, ricordiamo ad esempio, nel 2016, il successo elettorale dell’iniziativa “Prima i nostri” che dava la precedenza ai residenti nelle assunzioni. 

L’accordo stipulato oggi non andrà a risolvere molte delle questioni aperte da anni, in parte fisiologiche in aree di confine così interconnesse come quelle dell’area insubre, ma sicuramente rappresenta una svolta. Una firma, data forse ormai per persa e che alla fine è arrivata. 

Maria Carla Cebrelli
mariacarla.cebrelli@varesenews.it
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Pubblicato il 23 Dicembre 2020
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