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25 aprile, la Liberazione arriva dalle montagne e dal lago

Laveno fu una delle primissime località liberate, dai partigiani scesi dai monti e da quelli arrivati da Intra, secondo un piano già preparato. Cronaca, impressioni e personaggi di quei giorni

Piemonte

«Marciavano lentamente come gli alpini di cui molti portavano il cappello ed avanzavano per ranghi col mitra imbracciato. Con i volti bruciati dal sole, le barbe ed i capelli incolti, indossavano le uniformi cachi paracadutate qualche giorno prima».

Laveno fu una delle primissime località del Varesotto liberate.

Già due giorni prima del 25 aprile i partigiani della Divisione Flaim avevano liberato Verbania, dall’altra parte del lago, e avevano contrastato il passaggio dei tedeschi in Lombardia (nella foto che apre l’articolo un gruppo a Intra). 

Laveno era un punto di passaggio importante: i patrioti della Divisione autonoma Flaim, dai fazzoletti rosso-blu, avevano infatti il compito di raggiungere Varese e liberare l’asse della Statale varesina (l’ostacolo più grande era Tradate, sede di grossi reparti fascisti e tedeschi) fino a raggiungere Milano.
Per questo la Divisione Flaim – che stava sulla sponda piemontese – aveva un Battaglione anche in terra lombarda, il “San Martino”: furono i ragazzi di questa unità che entrarono per primo a Laveno. Già il 25, poi, arrivò il traghetto San Cristoforo con gli altri battaglioni.

Esistono persino le immagini cinematografiche, del traghettamento dei partigiani da Intra a Laveno, girate probabilmente nel corso della seconda “ondata” di uomini trasferiti sulla sponda lombarda.

Molti della zona di Laveno e dintorni erano partigiani sui monti sopra Verbania, tra cui un grosso gruppo venuto da Voltorre di Gavirate (tra loro Luigi Fumagalli “Cinema”, primo nella foto che apre l’articolo) e anche uno dei comandanti della Divisione Flaim, Enzo Plazzotta, figlio della maestra di Gemonio e futuro celebre scultore nel Regno Unito (foto a sinistra, archivio Flaim).

La liberazione di Laveno avvenne senza grandi scontri, anche sulla via per Varese gli ultimi fascisti si arresero, mentre anche dentro Varese iniziata la sollevazione, ad opera dei partigiani della 121a Brigata Garibaldi.
Il 27 aprile sbarcarono a Laveno altri partigiani della Divisione Flaim, per rinforzare la colonna che doveva circondare i tedeschi a Como (questi ultimi minacciarono di sconfinare in Svizzera, fu uno dei momenti più tesi della guerra, per il Canton Ticino).

Una parte della Divisione Flaim era invece stata mandata verso Arona per fermare un altro gruppo di tedeschi: in questo gruppo perse la vita Domenico Zangrilli di Besozzo, in un episodio di “fuoco amico”, colpito durante un mitragliamento aereo americano (avevano scambiato i veicoli partigiani per tedeschi).

La situazione nei giorni successivi alla normalità. Anche se non mancarono le ultime, dolorose code della guerra: tra questi il processo a tre partigiani che si erano introdotti nella villa di un fascista sfollato a Laveno e avevano rubato poche cose. Due furono condannati ma finirono poi a scontare dieci giorni di prigione, mentre il caposquadra – il georgiano Dzura Chabelasvili – venne fucilato, nonostante l’appassionata difesa del suo avvocato, il capoplotone Piergiovanni Scalabrino. Ultima coda di una guerra partigiana che aveva richiesto (anche) disciplina per essere vinta.

«A Cittiglio le truppe alleate giunsero sotto forma di un distaccamento di carristi sudafricani che crearono un posto di blocco all’ingresso del paese, al rondò della provinciale per Varese» ricorda Enrico Colombi, nei suoi ricordi di ragazzino sfollato a Cittiglio, raccolti nel libro “Un vecchio che muore è una biblioteca che brucia”.

Il 6 maggio i partigiani sfilarono a Milano: tra loro anche quelli della Divisione Flaim e anche quelli della Divisione Valtoce, che aveva tra le sue file molti ragazzi della zona tra Varese e Lago Maggiore (c’era, ad esempio, un nutrito gruppo di Bogno di Besozzo). Quel giorno, a Milano, restituirono le armi: la guerra era finita.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 25 Aprile 2020
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