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«L’identità è lo spirito guida per il futuro della città»

La seconda tappa di Territori in tour nel giorno più importante della settimana, quello del mercato. Foto di una città che sa reagire al cambiamento

Lo dice l’assessore sulla terrazza dell’edificio simbolo appena restaurato, e lo si registra. Lo ripete l’albergatore Giorgio Petrucci che un anno e mezzo fa ha riaperto il tre stelle dove arrivano da 42 nazioni diverse con 10 mila presenze nell’anno appena passato, e il sopracciglio si aggrotta. E alla fine lo fa intendere anche l’ambulante che arriva dalla famiglia di mercanti di strada che qui il mercoledì ha messo le radici, Riccardo Belotti.
Allora vuol dire che quella si candida ad essere la parola magica della giornata.

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Territori in tour: Luino, il giorno del mercato e il cambiamento 4 di 20

Inaspettata – in una terra di confine che bacia da una parte la Svizzera e dall’altra il Piemonte, crocevia di linee ferroviarie che arrivano dal Nord verso Genova e fra l’Est e l’Ovest – la parola magica è una: identità.
«Luino è un posto dove anche chi arriva da fuori si trova a casa e che non ha perso l’orgoglio di luogo speciale, con legami forti col passato. Lo ha dimostrato la fila di giovani all’apertura di palazzo Verbania, meno di un mese fa», spiega l’assessore Alessandra Miglio proprio dall’alto di quella terrazza che ispirò poesie di Vittorio Sereni e fior di racconti e romanzi di Piero Chiara.
Interpreti di un clima che fu, ma che in città ancora si respira.
Intanto di prima mattina la grande giornata sta per svegliarsi e alle 9.25 la motonave Camoscio della Navigazione porta sulla terraferma decine e poi centinaia di turisti.

E la piccola Bibbia di questo tour che vuole parlare di cambiamento, vale a dire gli “Scenari di futuro” di The European House Ambrosetti, studio realizzato in collaborazione con Confartigianato Varese nel marzo scorso spiega il riflesso in termini numerici di questa fittissima e multicolore presenza del mercoledì luinese: «Varese è la prima provincia lombarda nel trasporto lacuale». Tradotto in numeri: «Flotta in esercizio di 36 natanti peri al 26% del totale regionale, lunghezza delle linee esercitate (120 km) pari al 26% del totale regionale. Dotazione di posti passeggeri (13.451) pari al 35% del totale regionale».

Tutti qui, per il mercato, fonte di guadagni e attrattiva per chi, fra gli oltre 300 ambulanti, ha scelto questa piazza. «Mercato discusso, criticato, bistrattato, ma anche amato e che permette alti incassi anche alle attività commerciali tradizionali»: è l’opinione di Paolo Oldani, camiciaio su misura con laboratorio a Porto Valtravaglia che troviamo sulla soglia della sua bottega a metà mattina mentre parla col vigile Corrado Montagna: quadretto da film in bianco e nero fra i neorealisti Cinquanta e Sessanta che pure rappresenta il metro di una città che è città sulla carta ma che specialmente nel suo centro storico vive scene da paese, con le vie antiche – Cavallotti su tutti, coi suoi commercianti – la piazza della chiesa col parroco che inaspettatamente ci parla della risposta della città in momenti difficili, ma anche di aree dismesse ultracentrali, come il Cinema Pellegrini, di proprietà della parrocchia: «Vorremmo diventasse un centro di aggregazione culturale aperto a tutti», ha spiegato don Sergio Zambenetti.

Ma, tornando all’evento del mercoledì, com’è cambiato il mercato? «È vero che la qualità si è abbassata, questo è innegabile. Ma sfido chiunque a trovare un centro commerciale all’aperto dove trovi 50 negozi di scarpe o cento posti diversi dove puoi comprare vestiti». Dice proprio così: “Centro commerciale”, Rodolfo Calzavara, fiduciario provinciale Fiva di Ascom Confcommercio, e la parola tanto difficile da far digerire al mondo del commercio al dettaglio viene sdoganata così, per strada, mentre una turista cliente russa non si accorge del fuoco della camera e passa e ripassa di fronte all’obiettivo. In effetti al mercato si viene sì per chiedere, non per intervistare e la parola d’ordine non è “mi dica” ma “how much?” quanto costa?
Gli affari li fanno tutti perché verso le 11 tutto è pieno, le strade di gente, le bancarelle di prodotti offerti e urlati che fanno sentire la presenza di un mestiere. Mestiere che a duecento metri dalla statua di Garibaldi in tanti imparano ogni anno al centro di formazione professionale di Luino dove il direttore Silvano Zauli prima, e il suo insegnante dell’unica scuola di falegnameria del Varesotto Corrado Spataro poi, raccontano.

Così capita di sentire storie di aziende che chiamano, cercano, e spesso non trovano falegnami perché troppi pochi ragazzi vogliono intraprendere questa attività: «Pensi che non sono solo le aziende a chiederci, ma addirittura ultimamente è capitato che un amico amministratore di condominio mi abbia cercato per avere il riferimento di qualche “ragazzo“ disposto a occuparsi delle manutenzioni. Si prua di decine di condomini. Ma nessuno lo vuole fare». Su dieci persone che escono dai tre anni di scuola professionale almeno un paio diventano artigiani a partita iva.
Gli altri trovano a volte lavoro in Svizzera, accettando le regole di quel paese.

Lo ha fatto per 11 anni Alessandro Lucca, che con una laurea in tasca in chimica farmaceutica ha trovato lavoro in Canton Ticino e racconta come è cambiato il frontaliere tipo di questi anni: «Da varesino, comasco o piemontese con casa vicina al confine a calabrese, siciliano o campano che emigra al nord per lavorare in Svizzera attirato dagli alti stipendi».
«L’unica costante – spiega Alessandro – , l’unica cosa che non è cambiata in questi anni di lavoro è il traffico del mattino, tutto privato, di auto con spesso una sola persona a bordo, tutto rivolto verso nord». 
La chimera rimane quindi sempre il mezzo pubblico.
Il suo sogno nel cassetto ora è uguale a quello che vive un uccello bianco che si lancia dal palo dell’imbarcadero per aprire subito dopo le ali: libertà, viaggiare per il mondo e fotografarlo portandosi sempre dentro il ritmo di questa terra, la sua.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it
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Pubblicato il 19 Giugno 2019
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