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La Resistenza e il 25 Aprile, un incontro all’Isis

Due testimoni d'eccezione per trattare di un tema storico che ha pesanti ripercussioni sul nostro presente: il fascismo e l'era dei totalitarismi

resistenza

Nella mattinata di mercoledì, 10 aprile, presso l’ISIS «Città di Luino – Carlo Volonté», in collaborazione con l’ANPI di Luino, si terrà un incontro sul tema: «La Resistenza e il 25 Aprile». Relatori Ivonne Trebbi ed Ester De Tomasi. Ivonne Trebbi, nome di battaglia «Bruna», è nata a Castel Maggiore in provincia di Bologna nel 1928. Staffetta partigiana della Brigata Venturoli, riconosciuta con Croce al Merito di Guerra per il Servizio Partigiano, è stata consigliere comunale a Bologna ed eletta in Parlamento nell’8a e 9a legislatura.

Una donna che ha militato nelle file della Cgil tessile, in prima linea nella difesa dei diritti dei lavoratori. In un’Italia, dominata dal terrore delle orde naziste, sostenute dalla Guardia nazionale, dalle Brigate nere e dalle SS italiane, che infierivano con orrendi massacri contro la popolazione civile, Ivonne Trebbi avvertì l’urgenza di un impegno morale e civile anche a rischio della sua stessa vita. Non si era ancora spento in Emilia l’eco dell’efferato massacro di Marzabotto, dove, tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, le SS di Reder avevano sterminato 1836 persone. La Repubblica Sociale di Salò aveva inoltre intensificato nell’Italia centro-settentrionale la persecuzione contro gli Ebrei.

Il programma della RSI di Mussolini li definiva, infatti, come appartenenti ad una nazione nemica, benché molti di loro avessero combattuto nell’esercito italiano durante il primo conflitto mondiale ed avessero offerto alla Patria il loro contributo di sangue. Circa 7000 Ebrei italiani furono deportati nei campi di sterminio. In questo contesto di terrore diffuso,
la giovane Ivonne, a soli 16 anni, decise di sfidare la morte per amore della libertà perduta, sabotando l’esercito fascista e nazista. Trasportava armi, trasmetteva ordini e messaggi da un gruppo di partigiani a un altro, sviava la segnaletica per confondere i tedeschi, seminava chiodi a tre punte sulle strade per i loro camion. Essere scoperta come staffetta
partigiana significava rischiare la fucilazione. Nella canna della bicicletta venivano nascosti i biglietti. Probabilmente a seguito di una delazione, Ivonne fu incarcerata dal 5 aprile 1945 al 21 aprile 1945, sottoposta inutilmente a sevizie e torture perché rivelasse i nomi dei partigiani nascosti. La sua bocca rimase però sigillata dal silenzio.

Era stata arrestata anche la madre che non sapeva dove fosse la figlia e aveva percorso chilometri a piedi per cercarla.

«In quegli anni, – ricorda Ivonne Trebbi, riferendosi anche al dopoguerra – le donne hanno dato un contribuito prezioso alle conquiste politiche e sociali, ottenendo il diritto di voto. Il fascismo non riconosceva alcun diritto alle donne ed è stato responsabile di quattro guerre: Grecia, Albania, Abissinia e Spagna con la collaborazione data al generale Franco. Gli uomini in quel tempo erano sempre militari. Ogni tanto
passavano emissari ad annunciare a casa la notizia della morte di un familiare: ci dicevano che era morto da eroe al fronte e nelle case scoppiavano urla di pianto e disperazione udibili a distanza».

Oggi Ivonne Trebbi si dice preoccupata per la presenza in Europa di tanti gruppi che si ispirano alle ideologie fasciste. La testimonianza dell’antifascismo e la memoria storica non sono inutili esercitazioni retoriche. Il fascismo, infatti, è odio, violenza, discriminazione verso i diversi.

«Un tempo – aggiunge Ivonne – i nemici erano gli Ebrei, oggi sono gli immigrati. Purtroppo ci sono alcuni giovani, non tutti per fortuna, vittime della propaganda dei gruppi estremisti». Ma come vede il futuro? «Io sogno lapace e sono favorevole a lottare per l’ Europa unita. L’Europa, nonostante i suoi difetti, ci ha regalato 70 anni di pace. La pace, la libertà, la democrazia e la giustizia sociale, parti integranti della nostra Costituzione, devono diventare realtà non solo per l’Italia e l’Europa ma per i popoli di tutto il mondo».

Con lei ci sarà anche Ester De Tomasi, presidente dell’ANPI provinciale, figlia di una grande eroe del San Martino, Sergio. Dopo aver trovato rifugio in Svizzera a seguito della disfatta del San Martino, Sergio De Tomasi, insieme ad altri compagni decise di ritornare in Italia per continuare a combattere. Catturato dai fascisti, fu condotto nel carcere di San Vittore a Milano, dove fu picchiato e torturato perché svelasse i nomi di altri compagni di lotta. Trasferito a Fossoli, Sergio fu testimone di esecuzioni sommarie, in particolare di Ebrei. Ben 70 persone furono fucilate al Poligono davanti ai suoi occhi esterrefatti. Poi la deportazione nel campo di sterminio di Mauthausen dove sperimentò una crudeltà che non conosceva limiti. Talvolta la disperazione, come una cappa densa di funesti presagi, si abbatteva su di lui. Forse non sarebbe mai più tornato tra le persone amate, nella sua casa lontana. La parola d’ordine era però una sola «resistere», fisicamente e psicologicamente. Poté rientrare in Italia agli inizi di maggio del ‘45. Finalmente poté rivedere il volto di sua madre, dei suoi fratelli. Avrebbe voluto riabbracciarli, ma loro continuavano a rimanere impassibili di fronte a lui. Sergio, infatti, con i suoi 32 chili, sembrava uno zombi, un morto vivente. Incredulo di essere passato indenne in mezzo a quello scempio, provava quasi un senso di colpa, si sentiva un sopravvissuto. Un cruccio che si sarebbe portato dentro tutta la vita. Sarà la figlia Ester a raccogliere quei drammatici ricordi. Una tragedia antica da cui sarebbe scaturito il suo impegno civile, la sua passione per la difesa dei valori della Costituzione, nata dalla Resistenza e dalla lotta di quanti sono morti per amore della libertà.

(a cura di Emilio Rossi)

Pubblicato il 05 Aprile 2019
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