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La mamma di Simone Pedron: “Ecco come abbiamo ritrovato nostro figlio”

Maria Rosa Corda è la mamma di Simone, il ragazzo di Brebbia rimasto lontano da casa per 5 mesi e rintracciato dai genitori nel sud del Portogallo. Ci racconta come lei e suo marito lo hanno ritrovato, senza l'aiuto di nessuno, o quasi

«Abbiamo fatto tutto da soli e siamo riusciti a trovare nostro figlio». Maria Rosa Corda è la mamma di Simone Pedron, il ragazzo di Brebbia rimasto lontano da casa per 5 mesi e rintracciato dai genitori nel sud del Portogallo, in una fattoria/comunità dove lavorava in cambio di vitto e alloggio. Simone se ne è andato il 22 agosto scorso, zaino in spalla e l’idea di provare a fare un’esperienza di vita solitaria, “dimenticandosi” di avvertire i famigliari che per settimane e settimane sono rimasti col cuore in gola aspettando di riabbracciarlo. Il ragazzo, da poco diciassettenne, ha fatto il Cammino di Santiago, per poi spostarsi in Portogallo dove lo hanno trovato mamma e papà, accompagnati da un altro pellegrino che lo aveva incontrato sulla via francigena. Ecco come hanno fatto.

«A dicembre abbiamo saputo che era effettivamente a Santiago, come avevamo immaginato e sperato. Da lì in poi ci siamo mossi fino alla decisione delle scorse settimane: partiamo e andiamo a prenderlo, dovunque sia – racconta la mamma di Simone, Maria Rosa -. Siamo decollati alla volta di Madrid io, mio marito e un signore di Torino, ormai un amico, che aveva incontrato Simone sul Cammino di Santiago dandogli una mano concreta (soldi e vestiti). Simone gli aveva raccontato di essere orfano e di chiamarsi Pedro: lui gli ha creduto e lo ha aiutato, ma quando ha saputo la verità una volta tornato in Italia, ci ha contattati e ha voluto essere con noi in questa “avventura”».

Andiamo per gradi. Quando siete partiti e come vi siete organizzati?
«Mercoledì 8 gennaio siamo partiti. A Madrid abbiamo noleggiato una macchina e ci siamo diretti a Nord, a Ponferrada, dove eravamo in contatto con un sergente della Guardia Civil. Non sapevamo dove fosse Simone e siamo andati per tentativi. Sapevamo che fino a ottobre Simone è stato sul Cammino per poi andare verso Sud e abbiamo provato a ricostruire le sue mosse».

Dopo Ponferrada dove siete andati?

«Grazie all’aiuto di quel poliziotto spagnolo che ringrazierò per tutta la vita ci siamo diretti a 20 chilometri da Leon, in un ecovillaggio dove Simone ha alloggiato per qualche tempo. Lì ci hanno detto che aveva parlato con loro della sua idea di andare a sud, verso il caldo: e così siamo andati in Portogallo».

Immaginiamo non sia stato facile rintracciarlo…

«No, infatti. Per trovarlo ho setacciato i siti internet di tutte le fattorie/comunità che danno alloggio a numerosi ragazzi che vogliono fare un’esperienza di vita con pochi soldi: li fanno lavorare in cambio di vitto e alloggio e sono veramente tantissime le esperienze simili. Ho chiamato i numeri che ho trovato e alla ottava, nona o decima telefonata ho trovato un signore che nel Sud del Portogallo mi ha detto che con loro c’era un Pedro che corrispondeva alla descrizione di Simone. E così siamo andati a prenderlo».

Come ha reagito vedendovi arrivare?

«Era stupito, non se lo sarebbe mai immaginato. Era contento, però. Forse perchè stanco di scappare. Di fingere no: gli è piaciuto far finta di essere più grande, maggiorenne. Ha deciso di tornare a casa con noi: non lo abbiamo forzato, se non avesse voluto credo che non avremmo insistito, ma non è stato necessario porsi il problema».

E voi? Quali sono stati i sentimenti e le reazioni?
«Felicità innanzitutto. Ci abbiamo messo tutto, tempo, soldi, energie. Ma ce l’abbiamo fatta. Lui sa che ha sbagliato, che non è stato il modo giusto di fare una cosa che voleva fare a tutti i costi. Ci ha fatto soffrire, ma ci sarà il tempo per parlarsi e capire. Sapete una cosa? Io sono felice anche perchè se l’è cavata bene, ha dimostrato di essere un ragazzo maturo ed educato, tutti quelli che lo hanno incontrato mi hanno detto la stessa cosa: è un bravo ragazzo».

C’è qualche punto oscuro in questa vicenda?

«Non serbo rancore nei confronti di nessuno, ma il merito di aver riportato a casa Simone è solo nostro, mio e di mio marito. Ci ha dato una mano il personale dell’Unità Prevenzione Rischio Criminologico, ci hanno proposto un avvocato che ci seguisse, ma il mio unico obiettivo non era tanto sapere a che punto erano le indagini, ma ritrovare mio figlio. Di brutto c’è che abbiamo saputo che Simone è stato arrestato in Spagna a ottobre. È scappato davanti ad un controllo e ha fatto una notte in carcere (e gli ha in un certo senso fatto comodo avere un tetto sopra la testa e un pasto caldo), ma la cosa sconcertante è che pur non avendo i documenti ed essendo visibilmente giovanissimo non hanno fatto segnalazioni, tant’è che l’Interpol la scheda di mio figlio non l’aveva».

Come avete fatto a riportarlo in Italia se non aveva i documenti?

«Anche questa è stata una piccola avventura nell’avventura. Io avevo con me una copia della sua carta d’identità fotocopiata: avremmo dovuto andare in consolato e fare tutta la trafila, ma non avevamo tempo da perdere e così con un piccolo escamotage ho convinto il personale della compagnia aerea a farci partire. Così martedì mattina (14 gennaio) siamo decollati e tornati a casa. Di nuovo insieme, che è la cosa più importante».

Pubblicato il 15 Gennaio 2014
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