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“Devo vendere 10 delle mie 30 vacche per stare nei costi aziendali”

Zootecnia in crisi, il grido di allarme di un allevatore di Ameno vessato da costi raddoppiati e sempre più insostenibili: "Non ho mai contratto debiti, ma anche la mia attività è a rischio"

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(foto d’archivio)

«Devo vendere 10 delle mie 30 vacche per stare nei costi aziendali». Sono momenti davvero difficili per la zootecnia da montagna, messa alle strette dal continuo aumento dei costi delle materie prime, dell’energia e per gli effetti indotti dalla siccità. Alcune aziende stanno valutando la chiusura, altre valutano una diminuzione dei capi in stalla per cercare di tamponare la situazione, tutt’altro che ben promettente.

A lanciare un grido d’allarme, raccontando la propria esperienza, è Diego Ceresa, socio Cia di Ameno, titolare dell’Azienda agricola Baragiooj, allevamento di vacche – principalmente da latte, e caseificio, che spiega la situazione con i numeri, che danno immediatamente l’idea della situazione: «A causa della siccità – spiega l’allevatore – ho a disposizione il 50% in meno del mio fieno, che devo quindi acquistare. Dai 17 euro a quintale che ero abituato a pagare, ora il fieno è a 31,5 euro per lo stesso prodotto, qualcuno arriva a pagarlo fino a 35 euro, l’erba medica arriva addirittura a 39 euro/quintale. Lo scorso gennaio, il mangime sciolto per le vacche lo pagavo 37 euro al quintale, ora siamo a 48. La tendenza è al rialzo. L’anno scorso ho speso 7 mila euro di fieno in totale mentre quest’anno, comprandone solamente la metà del previsto, ne ho già spesi 7500». Tenendo conto che una vacca da latte consuma una media di 20 kg al giorno di fieno (e 6 kg di mangime finito), il conto è presto fatto.

Prosegue Ceresa, che si trova davanti a una difficile scelta: «Ho 30 capi ma devo liberarmi di almeno 10 di loro, non riesco a stare nei costi. Terrò i capi da latte, darò via gli esemplari di Razza Piemontese, molto più costosi a causa dei tempi di gestazione e del ciclo vita. Alcuni colleghi del Trentino, che avevano stalle con centinaia di capi, hanno chiuso l’attività. Ci sarà un inevitabile adeguamento degli allevamenti, ma di questo passo non avremo più latte».

I rincari arrivano su ogni fronte, spiegano in Baragiooj: dai vasetti per confezionare lo yogurt alle bollette per l’elettricità (da 220 euro a 580). Inoltre, la siccità ha fatto prosciugare le fontane al pascolo e la fauna selvatica continua a mietere danni su danni: i cervi devastano l’erba del pascolo in montagna, lasciando ben poco alle vacche, mentre i danni dei cinghiali sono tristemente noti. Gli aiuti di Stato sono un piccolo ausilio, ma da soli non bastano e «non devono fare il bilancio di un’azienda».

Conclude l’allevatore: «Rappresento un’azienda solida e non ho mai contratto debiti, ma anche la mia attività è a rischio. Devo poter continuare a fare impresa: il mio lavoro è ‘con’ le vacche, non ‘per’ le vacche. Se questa condizione non sarà più possibile, dovrò prendere decisioni diverse. L’opinione pubblica è anche poco informata o poco sensibile al problema: deve far riflettere tutti il fatto che noi allevatori siamo obbligati, di fatto, a vendere metà mandria per comprare da mangiare all’altra metà. Il problema agricolo riguarda tutti, non soltanto i produttori».

Così commenta il presidente provinciale Cia Andrea Padovani: «Purtroppo questa situazione rispecchia molti altri settori agricoli. Le aziende non possono restare aperte rimanendo in perdita economica. Evidenziamo inoltre che i costi del problema, non gestito, dei selvatici continuano ad essere a carico solo ed esclusivamente degli agricoltori. Non possiamo continuare così».

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Pubblicato il 11 Ottobre 2022
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