Quantcast

La fabbrica del futuro è l’ufficio glocal

Il futuro del lavoro produttivo e ingaggiante è ibrido. Una miscela di connettività globale tecno-abilitativa e cooperazione sociale anche micro-locale tra tutti gli stakeholder. Sesso, sangue e sudore valgono forse più di algoritmi algidi, amorali e agnostici

Il lavoro del futuro

Ogni 4 secondi ne produce una da 70 anni. In fila, raggiungerebbero metà strada verso la luna. Clyde, nell’Ohio, è la sede della fabbrica di lavatrici più grande del mondo, che permette a Whirlpool di dominare, con una quota del 65%, questo segmento da 4 miliardi di dollari del mercato americano. (Foto di StartupStockPhotos da Pixabay)

È la gallina dalle uova d’oro grazie ad un’efficienza costruita affinando processi produttivi con il nanometro per avere mega economie di scala, che è stata capace di resistere all’off-shoring e ha permesso finanche di riportare volumi dal Messico nel Paese di Biden. Ripetitività, automazione, routine sono le chiavi dell’efficienza tecnologica ed umana. In un mondo volatile, incerto, complesso e ambiguo è sempre più raro trovare queste condizioni.

Il modo più efficiente di essere efficaci in questo contesto è diventare flessibili. In un’economia in cui il valore viene dai dati e dalla creazione di capitale relazionale, lo smart working è una tecnologia di lavoro ad alta potenzialità. Basato sulla flessibilità, espande e riconfigura i concetti di spazio (lavoro ovunque) e di tempo (lavoro a qualsiasi orario) e quindi di relazione (lavoro potenzialmente con tutti quelli connessi). Infatti, molti studi affermano che la produttività del lavoro da remoto, sperimentato forzatamente durante la pandemia, è aumentata.

Aumenta la produttività personale (quanto vendo, quanti problemi risolvo, quante analisi produco), perché non ci sono le distrazioni del lavoro in ufficio, le riunioni sono più brevi e focalizzate, si lavora quando si è più produttivi, non si perde tempo in spostamenti. Ma la storia non finisce qui. Il capo dell’efficienza degli ingegneri di Google (gli “operai” di big G) ha rivelato che nel terzo trimestre la produttività dei coders è diminuita e che si sentono annoiati e demotivati dal protratto lavoro esclusivamente da remoto.

Quando il focus del lavoro è l’efficienza collaborativa (la velocità con cui un gruppo risolve un problema), la prossimità fisica aumenta significativamente la produttività perché la sua benzina è la comunicazione. E la tecnologia di comunicazione più veloce, a basso costo e a più alta banda di connessione – ancora per il momento– è l’ufficio.  Le aziende che stanno ridisegnando i nuovi modi di lavorare lo hanno capito bene: l’ufficio del futuro è un hub, anzi, molti hub progettati per favorire la collaborazione creativa, rafforzare il senso di identità e la creazione di senso. Un sistema complementare e integrato col lavoro da remoto.

Per le aziende, bene dunque definire le nuove policy di smart working evitando il rischio di confinarsi in spazi iper-efficienti basati solo sul concetto di condivisione delle scrivanie prenotate. Meglio trasformare i metri quadri liberati in nuove aree di creazione di valore, per sé e per le proprie comunità e stakeholder: clienti, università, partner, start-up, società civile.

Chi la conosce bene, sa che il segreto di Clyde non è il capitale materiale. Il tessuto connettivo che la alimenta è l’impalpabile e inossidabile rete relazionale di matrimoni, figli e amicizie che abbracciano le generazioni. I sorrisi, l’attitudine Yes we can e la fiducia diffusa derivano dalle relazioni fuori dalle mura. Raro parlar male dei colleghi, che in qualche modo sono tuoi parenti.

Il futuro del lavoro produttivo e ingaggiante è ibrido e il tempo di crearlo è ora, perché il futuro è di chi lo ha iniziato. Una miscela di connettività globale tecno-abilitativa e cooperazione sociale anche micro-locale tra tutti gli stakeholder, coi perimetri porosi e permeabili degli uffici del futuro. Sesso, sangue e sudore valgono forse più di algoritmi algidi, amorali e agnostici.

Scrive Yuval Noah Harari: «Il nostro linguaggio si è formato sui pettegolezzi. Secondo questa teoria, l’Homo sapiens è innanzitutto un animale sociale. La cooperazione sociale è la nostra chiave della sopravvivenza e della riproduzione. A ogni uomo o donna presi a sé non basta sapere dove ci sono i leoni o i bisonti. Molto più importante per loro è sapere chi, nel loro gruppo, odia chi, chi dorme con chi, chi è onesto e chi è un imbroglione».

di
Pubblicato il 08 Novembre 2020
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore