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Per le sospette irregolarità sulle tessere elettorali a Maccagno decisione il 18 maggio

Le contestazioni riguardano alcune duplicati di tessera elettorale con firme sospette raccolte prima del ballottaggio di tre anni fa e oggetto di un esposto della minoranza in Procura

maccagno generica

Da «falso in atto pubblico» a «falso in certificazione e autorizzazione»: è sulla profilazione giuridica del (sospetto) reato che si giocano le sorti del procedimento che vede imputate tre persone dinanzi al giudice per l’udienza preliminare di Varese Giuseppe Battarino. La vicenda riguarda alcune presunte irregolarità nella raccolta delle tessere elettorali per il voto del ballottaggio a Maccagno con Pino e Veddasca nel 2019, un “secondo turno“ spurio per un comune così piccolo, ben sotto le soglie di legge (15 mila abitanti) ma reso necessario per la perfetta parità alla prima tornata elettorale, fatto raro ma non impossibile specialmente nei piccoli centri.

Le contestazioni sono rivolte a tre persone, un impiegato comunale, un consigliere comunale di maggioranza e un presidente di seggio: sarebbero state firmate alcune richieste di duplicato di tessera elettorale per conto di elettori residenti all’estero. Una semplificazione non concessa però dalla legge e “intercettata“ dai consiglieri oggi di minoranza ma che ai tempi del voto vigilavano – come compete ad ogni formazione in lizza per le consultazioni elettorali – sulla liceità delle procedure. Sotto la lente sarebbero diverse istanze di rilascio di duplicato delle tessere elettorali formulate “a causa di smarrimento della stessa”, a nome di elettori diversi che riportano tutte la medesima firma, quella di un consigliere comunale in carica, mentre al presidente di seggio sono contestate irregolarità legate all’aver fatto votare cittadini sprovvisti di tessera elettorale.

L’azione penale alla Procura di Varese venne attivata dopo un esposto, reso peraltro pubblico in sede di conferenza stampa per illustrare le problematiche emerse sia per la vicenda delle schede, sia per un “pacchetto“ di voti che sarebbe stato offerto in cambio di soldi al candidato sindaco del gruppo “Idea Comune” che perse le elezioni per 38 voti (fatto però stralciato da questo procedimento). Ed è questo uno dei punti oggetto di considerazione (non sul piano giuridico, ma piuttosto “tecnico-politico”) su cui fa leva uno dei difensori dei tre imputati, l’avvocato Paolo Bossi: «Non solo lo scarto che portò alla vittoria dell’attuale sindaco è superiore al numero dei sostituti delle tessere elettorali contestati, ma addirittura alcuni di quei cittadini neppure si recarono alle urne».

Poco più di una battuta, si diceva, che non influisce sulla natura di quanto contestato sul piano giuridico. Ma il ragionamento invece proposto al giudice, che si è preso qualche settimana per valutare e decidere, riguarda la riqualificazione giuridica del capo d’imputazione appunto da “falso in atto pubblico“ a “falso in certificazione e autorizzazione“, mossa che, facendo “degradare“ la fattispecie del reato potrebbe aprire le porte, per esempio, ad una sospensione del procedimento penale proprio in virtù di quei reati meno gravi che si concreta con la messa alla prova.

Pubblicato il 27 Aprile 2022
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