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Lica Steiner, la partigiana ebrea che combatteva i nazisti nell’Ossola

Sfuggì al massacro dei suoi famigliari, uccisi delle SS. Insieme al marito Albe Steiner lottò per un anno e mezzo sui monti dell'Ossola. E nel Dopoguerra divenne una famosa designer

Generica 2020

La sua famiglia fu uccisa dalle SS e lei lottò per un anno e mezzo per liberare l’Italia dal nazifascismo.
Lica Steiner è una figura anomala e rivoluzionaria: ebrea, donna, militante. Una storia che racconta una storia più grande e spesso messa tra parentesi: quella degli ebrei che decisero di lottare contro il nazismo (foto: Lica nel 1940, archivio Steiner).

Lica era era nata a Milano nel 1914, con il nome di Matilde Maria Covo: figlia di un ebreo sefardita e della cattolica Maddalena Stramba, era cresciuta in un clima cosmopolita, studiando alla scuola secondaria francese di Milano e poi alla scuola d’arte di Bésançon. Nel 1938 aveva sposato Albe Steiner, di famiglia originaria della Cecoslovacchia, ma anche lui milanese: nel 1939 aprono uno studio di grafica insieme e si avvicinano al Pci, l’unico partito rimasto attivo (clandestinamente) in Italia come opposizione al fascismo.

I bombardamenti su Milano – tremendo quello di agosto – avevano spinto la famiglia di Lica a raggiungere la casa in montagna, che poi era a Mergozzo, sulla via del Sempione che porta in Svizzera. Per un tragico destino, finirono in una zona messa nel mirino dai nazisti, per la sua posizione di confine: le SS della divisione “Leibstandarte SS Adolf Hitler” diedero la caccia agli ebrei che volevano fuggire all’estero, commettendo una serie di stragi tra cui quella di Mergozzo e quella più celebre, a Meina.

 

Pubblicato da Anpi Verbania su Mercoledì 27 gennaio 2021

Lica e Albe salirono sui monti, aggregandosi a una delle prime formazioni partigiane, il Battaglione Valdossola. La famiglia di Lica, rimasta a Mergozzo, venne braccata e catturata dai nazisti nel paesino all’imbocco dell’Ossola: Mario Abramo Covo e i nipoti Matilde David e Alberto Arditi furono catturati il 15 settembre, una settimana dopo l’armistizio dell’8 settembre e l’invasione dell’Italia da parte degli (ex) alleati tedeschi. Cosa ne fu di loro? Per anni vennero dati per dispersi, poi lentamente emersero le testimonianze che consentirono di appurare che furono uccisi nei boschi sopra il paese: i corpi non furono mai trovati, ma nel 2003 è stata posta una lapide in loro ricordo.

E Lica? Non rientrò in casa a Mergozzo, sfuggendo così alla cattura. Nel Battaglione (poi Divisione) Valdossola, i coniugi Steiner si occuparono di stampa clandestina, Lica fece anche la “staffetta“, portando ordini, messaggi, materiale propagandistico. Disegnarono anche il simbolo della Valdossola, basato su triangoli che formavano un tricolore.

Lica e Albe erano già grafici affermati prima della guerra: rimasero soci dello studio congiunto fino alla morte di lui, nel 1974, e sono stati tra i più famosi designer milanesi e italiani del Novecento. Ma questa è tutt’altra storia.

Non solo vittime: i partigiani ebrei in Ossola

Lica e Albe parteciparono alla Resistenza fino all’ultimo giorno: un documento racconta che nella fase finale passarono al “Settore Nord Varese”, la “testa di ponte” delle formazioni ossolane sulla sponda lombarda del Lago Maggiore (a Lica nel 2015 è stata dedicata una mostra della Casa della Resistenza di Fondotoce).

Generica 2020

Anche in Ossola combatterono molti ebrei, provenienti da mezza Italia: ad esempio Gaddo e Renzo Coen, quest’ultimo deceduto a Locarno per le ferite riportate nella battaglia dei Bagni di Craveggia, al confine con la Svizzera (la raccontiamo qui). E ancora Guido Weiller, figlio di una famiglia ebrea protetta da Filippo Beltrami, che finisce a entrare nella formazione partigiana; il genovese Davide Pugliese, caduto in valle Antigorio con la VIII Matteotti.

Rientrano a settembre ottobre 1944, con la Repubblica dell’Ossola, il comunista Umberto Terracini (che fu segretario della Giunta Provvisoria di Governo), il futuro poeta Franco Fortini inquadrato nel “Valdossola” come gli Steiner, il medico livornese Gino Faldini.
Medici-partigiani sono anche il fiumano Emerico Berio, che partecipa alla liberazione della val Cannobina, e il triestino Ruggero Ascoli, che approda tra i “matteottini” in Val Vigezzo. Il torinese Elia Migliau si rifugia sopra il Mottarone e diventa “traghettatore” di ebrei verso la Svizzera. E ancora Federico Almansi e Fausto Finzi, la milanese Elena Sacerdoti che passa un periodo come partigiana “di montagna” in Ossola.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 27 Gennaio 2021
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