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Cattaneo: “La situazione è grave e non possiamo aspettare a decidere”

L'assessore regionale è preoccupato e spiega le ragioni dei provvedimenti presi. “Non vorrei che in questa seconda ondata del covid-19 Varese diventasse quello che è stata Bergamo nella prima. Siamo al limite”

raffaele cattaneo

I dati dei contagi preoccupano. Non tanto e non solo per quello che sta succedendo oggi, ma per le previsioni sulla diffusione del virus nelle prossime settimane.

L’assessore all’ambiente Raffaele Cattaneo conosce bene la situazione regionale e anche quella della nostra provincia. Non ci gira intorno: “Non vorrei che in questa seconda ondata del covid-19 Varese diventasse quello che è stata Bergamo nella prima. Siamo al limite”.

Si inquadrano così le decisioni prese ieri dalla Giunta, dal Presidente Fontana, insieme con i sindaci dei comuni capoluogo e con i consiglieri regionali di maggioranza e minoranza. “Noi stavolta abbiamo usato un metodo giusto e corretto che coinvolge tutti perché al primo posto va messo un interesse generale”.

Assessore, come sta andando?

«Sta andando in modo critico, perché i numeri assoluti sono gestibili, ma ogni settimana assistiamo a un raddoppio dei casi in tre province e negli ultimi giorni il ritmo si è accelerato. I ricoverati solo in provincia di Varese sono triplicati. Questo non può lasciarci indifferenti. Cosa succederà? Nelle prossime due settimane i numeri continueranno con questo trend perché qualsiasi provvedimento avrà effetto tra 15 giorni».

Vuol dire che le previsioni sono comunque brutte?

«I numeri peggioreranno molto e devono farci riflettere. Nei prossimi 15 giorni avremo 600 ricoverati in terapia intensiva e 5000 negli altri reparti. Sono i dati forniti dal Comitato Tecnico Scientifico e sono molto affidabili».

Cosa dobbiamo fare?

«Dobbiamo decidere sulla base dei dati di oggi o sulle previsioni? Sicuramente la seconda perché se non decidiamo subito qualcosa la curva continuerà a crescere e se dovesse farlo in modo repentino non potremo più variarla velocemente. L’opinione pubblica vede la situazione di oggi e reagisce con i numeri attuali, ma noi abbiamo la responsabilità di guardare avanti. Dobbiamo evitare che la situazione diventi ingovernabile. I provvedimenti di oggi sono impopolari, ma possono provare a invertire la curva. Se aspettassimo i rischi sarebbero altissimi. È stato quindi giusto condividere con tutti il provvedimento più restrittivo».

Qual è la situazione più delicata?

«Oggi la difficoltà maggiore è a Milano, poi viene Varese. Dobbiamo mettere davanti a tutto l’interesse generale e non quello particolare. Nel metodo aver condiviso queste scelte è importante e giusto. Sappiamo che le persone fanno fatica e non ne possono più perché abbiamo alle spalle un periodo difficile. Teniamo conto però che oggi questo virus lo possiamo solo controllare, ma non vincere perché non abbiamo vaccini e cura. Dobbiamo quindi governare la situazione ora prima che diventi troppo tardi. Il tracciamento dei contagi è fondamentale. Finché questi sono pochi è facile, ma se aumentano velocemente non ci sarà nessun sistema per poter controllare le persone. Bisogna intervenire subito».

È sufficiente quanto deciso?

«Avrei scelto una misura più drastica che prevedesse il blocco negli spazi pubblici già dalle 21 tenendo aperti i locali al chiuso perché questo avrebbe permesso di non danneggiare le attività economiche. In questa fase comunque la nostra decisione è un segnale forte perché le persone capiscano che la situazione è delicata e potrebbe essere più critica che in primavera. Non è detto che sia una misura sufficiente. Va trovato un equilibrio tra le esigenze sanitarie senza che si diffonda un sentimento di allarme e terrore. Bisogna essere prudenti e seri, ma evitando la prostrazione per le persone. Questo equilibrio è il compito della politica».

I provvedimenti riguardano il coprifuoco dalle 23 alle 5 e la chiusura dei centri commerciali non alimentari nei week end. Fino a quando?

«I centri commerciali non alimentari resteranno chiusi nel week end per evitare che la gente si riversi tutta lì. Tutto questo durerà fino al 13 novembre e poi vedremo. Dobbiamo interrompere la diffusione e quando torneremo in un periodo più gestibile dovremo trovare nuovi equilibri.  Sono contro il massimalismo, ma anche contro chi dice che non va fatto niente. Sono giustificabili entrambi, ma il nostro ruolo è trovare l’equilibrio».

Iniziano tanti distinguo e anche prese di posizione critiche…

«Non condivido alcune posizioni critiche sui provvedimenti perché ho la possibilità di vedere i numeri, i dati. L’errore che potremmo fare ora è temporeggiare. È come per un incendio. Va spento il focolaio subito per non dover affrontare le fiamme alte. Capisco chi come il presidente della Camera di commercio vuole difendere l’economia, ma proprio per tutelarla dobbiamo intervenire ora con energia per evitare il lockdown più avanti. Meglio un provvedimento doloroso ora che uno ancora più forte più avanti. Se non facciamo niente adesso il rischio sarebbe altissimo. Pensiamo solo a un lockdown sotto il periodo natalizio: sarebbe letale per il commercio e dobbiamo evitarlo».

Ogni giorno assistiamo a una serie di numeri, ma i dati sono un’altra cosa…

«Sono d’accordo perché abbiamo bisogno di guardare le curve per capire cosa stia succedendo. Servono dati che facciano capire cosa succederà. Serve guardare il trend e questo ci fa capire che la situazione è cambiata. C’è una impennata verticale e la provincia di Varese è quella che ha la situazione più violenta. Non vorrei mai che noi diventassimo la Bergamo della seconda fase. Non possiamo sottovalutare la situazione. Non possiamo aspettare che siano piene le terapie intensive.  Questi dati andrebbero condivisi di più per comprendere bene cosa stia succedendo».

Com’è la situazione dei materiali?

«Io ho guidato una task force fino al 15 giugno quando la situazione è rientrata. Ora non me ne occupo più. All’epoca mi ero impegnato perché l’assessore competente era ammalato di covid. Oggi abbiamo comunque una scorta strategica per le mascherine e gli altri dispositivi di protezione. Abbiamo anche un sistema produttivo locale lombardo per realizzare questi dispositivi».

Assessore lei è stato chiamato in causa dalla trasmissione Report sia per la famosa storia dei camici che per le relazioni con Caianiello. Qual è la sua posizione?

«Tutti hanno dimenticato come in quei giorni la priorità assoluta era dare i camici ai nostri medici. In quel momento erano poche le aziende che potevano convertire la produzione. Ero e resto convinto che abbiamo fatto bene anche di fronte a un potenziale conflitto di interesse. In quei giorni quelli disponibili a riconvertirsi si contavano sulle dita di una mano.

Sul versante più politico la ricostruzione di Report è pretestuosa e mi ha scandalizzato vedere una interpretazione in cui divento il burattino di Caianiello. Chi conosce la mia storia e quella politica sa che eravamo avversari all’interno dello stesso partito e poi in partiti diversi. Ci sono intercettazioni in cui Caianiello dice a Fontana di non nominarmi assessore. Quanto alla vicenda del mio interessamento per i camici, i messaggi erano ben diversi e sono nei documenti della Magistratura perché la disponibilità a dare una mano era di Dini e non la mia. C’è un fil rouge in tutta la trasmissione che parte da Fontana per arrivare a Caianiello che parla apertamente dei legami con la Ndrangheta. Non è vero quello che afferma Report. C’è un obiettivo politico che vuole dimostrare che la Lombardia è governata male per poi farla governare da altri. Si vuole colpire la giunta del centro destra e usare strumentalmente una situazione drammatica che richiedeva provvedimenti urgenti».

Pubblicato il 20 Ottobre 2020
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